2 agosto 2003

Pubblicato il 29-07-2020

di Rosanna Tabasso

All’Arsenale si conclude una delle settimane estive di accoglienza dei giovani. Una delle più affollate dell’anno - quattrocento tra ragazzi e ragazze dalla Sicilia, dalla Puglia, dalla Romagna, dalla Liguria, dal Veneto… - tutti con una grande disponibilità a lasciarsi mettere in discussione da un’esperienza come la nostra, estremamente semplice, ma allo stesso tempo non facile da comprendere. 

L’Arsenale che li accoglie è uno spazio ormai vasto, fatto di edifici ristrutturati e di viali dall’aria antica resi vivi da giardini, angoli di verde, spazi per i bambini che qui non mancano mai. Nei primi anni tutto era concentrato in un unico edificio con la chiesa, gli uffici, le accoglienze, persino una cooperativa di lavoro – non so come tutto trovasse posto -. Poi via via ci venivano assegnati spazi nuovi, li ristrutturavamo e trovavano posto la Scuola di Musica, la Scuola di Restauro, il Centro Medico, le accoglienze notturne… Non abbiamo voluto avere un unico indirizzo, abbiamo piuttosto pensato al modello degli antichi monasteri, capaci di offrire servizi diversi e risposte adeguate al territorio in cui erano inseriti. 

Quando i giovani hanno iniziato a visitarci numerosi ci siamo accorti che mancavano spazi per loro; così l’ultimo edificio cui stiamo lavorando diventerà un ostello per accogliere studenti e giovani che vogliono condividere la vita di questo monastero metropolitano. Nel frattempo abbiamo creato per loro un accampamento di tende, nel grande prato di fronte all’Università del Dialogo. Il caldo torrido di quest’anno ha messo a dura prova i ragazzi assiepati nelle tende ma l’allegria, la voglia di stare insieme e di conoscersi li hanno sostenuti. 

 

I nostri primi vent’anni di vita all’Arsenale li abbiamo festeggiati con loro, semplicemente, vivendo una giornata come le altre. La vera festa dei nostri vent’anni sono i giovani che hanno scelto l’Arsenale come punto di riferimento. Loro, con la severità, l’esigenza di cose autentiche, la ricerca di testimonianze credibili, sono il miglior augurio. Non c’è bisogno di celebrazioni altisonanti.

Come ogni mattina la chiesa era piena di ragazzi con cui abbiamo pregato il salmo del pellegrinaggio: «Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore… Per i miei fratelli e i miei amici io dirò su di te sia pace…» e abbiamo ricordato la festa del Perdono di Assisi - uno dei molti incroci dell’Arsenale con Francesco d’Assisi. Questo salmo e la festa della Porziuncola di Assisi sono la memoria che si rinnova ogni anno pensando a quel 2 agosto 2003 in cui per la prima volta il portone bianco dell’Arsenale si aprì, mostrando ai nostri occhi il suo interno da antica cattedrale.

Poi, come ogni giorno, abbiamo lavorato con i giovani dividendoci gli innumerevoli servizi di una casa che vive dell’aiuto di tanti: chi si è occupato dei dormitori, chi dello smistamento del materiale che ci portano, chi si è dedicato alla manutenzione, alla musica o ha lavorato in falegnameria. Abbiamo chiesto a tanti ragazzi le loro impressioni prima che concludessero l’esperienza qui. Ci hanno parlato dell’impatto che si ha entrando all’Arsenale, della diffidenza iniziale, della paura di dover cambiare e di quella sensazione che noi della fraternità siamo dei super eroi, degli irraggiungibili… Noi sappiamo bene di non essere molto diversi da loro, conosciamo bene tutte le nostre fatiche, ma ripetiamo loro che l’Arsenale entra lentamente nel cuore di chi si lascia toccare nel profondo e fa sì che la sua vita cambi. Oggi l’Arsenale della pace non è più solo mura; è fatto di persone che si lasciano cambiare dentro, giovani che cercano chi li possa guidare ad un vero cambiamento. 

 

Una buona parte di questo 2 agosto - e di ogni giorno dell’Arsenale -  l’abbiamo dedicata  all’educazione ai valori che devono contraddistinguere una casa come questa: formare mentalità e stili di vita di pace, aprirsi alle problematiche del mondo, soprattutto dei più poveri, entrare nello spirito dell’accoglienza e del dialogo con tutti. L’Arsenale oggi è fatto di questa educazione permanente, di questa tensione ad essere disarmati dentro. Per ricordarcelo abbiamo scelto di tenere il portone dell’Arsenale sempre aperto e qualcuno di noi sulla porta a ricevere chiunque entri: un uomo o una donna che hanno bisogno di qualcosa, qualcuno che vuole capire che cosa si fabbrica ora al posto delle armi… 

La gente arriva a tutte le ore e ci aiuta a capire che il vero arsenale della pace è fuori. Anche in questo sabato sono passate decine di persone a raccontare i loro drammi. La maggior parte cerca un lavoro, molti non riescono a trovare casa e sono tantissimi - anche italiani - che cercano anche solo un posto letto. Ci sono molti anziani italiani che, sembra impossibile anche solo pensarlo, hanno perso la casa, non ce la fanno più con l’affitto, non arrivano a fine mese con la loro pensione e cercano aiuto. Durante questa estate così calda molti ci hanno chiesto di poter stare qui, avere un posto da dormire o anche solo dove andare a mangiare. Forse cercano di rompere l’isolamento e la solitudine in cui sono piombati. Non è raro che qualche anziana donna si offra come nonna per i bimbi che giocano in cortile. Se le mura potessero parlare - e noi superare quel pudore che ci fa tacere su tante storie di questa casa - ci racconterebbero infiniti gesti di solidarietà, di disponibilità, di amore. I gesti d’amore rimasti nel silenzio hanno fatto crescere l’Arsenale, l’hanno reso un luogo che comunica pace, anche dalle sue mura austere. 

 

da Nuovo Progetto, agosto-settembre 2003

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