20 anni dopo...

Pubblicato il 29-07-2020

di Annamaria Gobbato

2 agosto 1983, festa del Perdono di Assisi; entriamo nell’ex Arsenale Militare di Torino, un vero e proprio rudere, fatte salve le strutture portanti, decisamente poderose.

Neanche da pensare a sedersi, sporco e ragnatele dappertutto, macerie, immondizie ingombrano la strada. Ma ormai il dado era tratto, e bisognava rimboccarsi le maniche. Il difficile era decidere da dove iniziare. E con chi. Esclusi gli esperti in edilizia: al Sermig c’erano maestri, professori, bancari, impiegati, parrucchieri, casalinghe, ma nessun muratore né geometra né tanto meno ingegnere… Nessuna esitazione: il capo decise di affidare le prime pulizie a tutti, nessuno escluso, nelle ore dopo il lavoro e naturalmente il sabato e la domenica.

Il suo motto era – ed è ancora – “se la gente ci vede convinti, ci seguirà”! Come in tante altre cose ha avuto ragione e già dai primi giorni dopo la fatidica data alcuni abitanti della zona si offrirono di aiutarci. Come il tam tam nella foresta, ovviamente non avevamo il telefono, si sparse la voce ed una bella domenica bussò al portone (con un po’ di determinazione, perché il portone era adeguato alla struttura, cioè enorme) una trentina di bambini. Della prima elementare, scuola …

Evidentemente il lavoro è stato adattato alle loro capacità, ma non li abbiamo mandati via. “La sproporzione è un segno di Dio”, altro motto del capo, e naturalmente ha avuto ragione anche qui, altrimenti come saremmo riusciti a trasformare la vecchia, anzi cadente, fabbrica di armi in un arsenale di pace, ormai triplicato anche in Medio Oriente? 

Finalmente il passa parola arrivò anche ad un “esperto”, e che "esperto”! Titolare di uno dei più noti studi di Torino, il prof. Giulio Pizzetti si presentò all’Arsenale per offrire il suo aiuto. Ma, ditemi voi se l’Arsenale non è un miracolo della Provvidenza: non si qualificò per quello che era, disse solo che aveva del tempo libero e voleva ‘dare una mano’. Si trovò a toglier chiodi dalle assette di legno ricavate dalle macerie e preparate per un riciclo. Un giorno per caso Ernesto parlò davanti a lui della ristrutturazione dell’edificio, e si sentì proporre: “Se vuol parlare con me, sarebbe il mio mestiere…” e così scoprimmo chi era. Da allora fu facile vedere il professor – ma guai a dargli questo titolo! – Pizzetti inginocchiato nella polvere o arrampicato su un soppalco a misurare calcolare disegnare grafici e piante… Ci regalò il suo tempo, la sua competenza, assieme al progetto di ristrutturazione del primo capannone, grazie al quale il tetto non ci cascò in testa e potemmo organizzare i primi incontri di preghiera e condivisione. Ma soprattutto ci donò la sua presenza, la sua amicizia. Secondo me è lui il paradigma dei tanti, tanti, tanti volontari, anzi, amici – il termine ‘volontario’ è molto banale e riduttivo - che hanno offerto ed offrono il loro tempo, la loro capacità, la loro disponibilità alla Casa della Speranza, Arsenale della Pace. Sono loro che hanno meritato questo appellativo dell’Arsenale, perché senza la loro presenza la Casa non potrebbe rimanere aperta un solo giorno, ed invece è aperta 24 ore su 24. 

Ora i nuovi ‘Giulio’ si chiamano Natalina, Stefania, Rosanna, Cristina, Gianni, Luigi, Umberto…. come si fa ad elencare centinaia di nomi? Una cordata che cerca di ‘far bene il bene’ con la fraternità del Sermig che abita l’Arsenale, permettendo un’accoglienza abitativa, cure mediche, progetti ed aiuti d’emergenza in Terzo Mondo. I nuovi ‘Giulio’ si chiamano anche Carla, Maria, Nunzia, amiche preziose perché il loro volontariato non lo fanno con le mani, ma con il cuore: sono presenti con la preghiera e l’offerta della loro sofferenza per tutte le nostre necessità e per i bisogni di chi ci chiede aiuto. 

Resta una domanda: perché, una volta conosciuto l’Arsenale della Pace, vi sono ritornati come volontari?

 

da Nuovo Progetto, agosto-settembre 2003

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok