Di queste cose non mi occupo

Pubblicato il 24-01-2013

di Flaminia Morandi

Di queste cose non mi occupo, si sente dire quando si parla di politica. Non ha forse detto Gesù date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio? Non ha forse respinto la tentazione del governo che il demonio gli andava proponendo nel deserto? Apparentemente, non occuparsi di politica sembra un atteggiamento giusto. Anche la Magna Charta dei cristiani antichi, la Lettera a Diogneto, sembra confermarlo: i cristiani, dice, vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro e ogni patria è a loro straniera.

Ma come sempre c’è nella parola profetica cristiana una tensione degli opposti, una contraddizione, un paradosso nel quale si annida la nostra libertà: siamo noi a dover trovare la soluzione del rapporto tra fede e politica, tra l’essere uniti a tutti e distaccati da tutto, attraverso il discernimento di volta in volta fra bene e male.
Il mondo creato da Dio è buono. Cosa c’è di male nell’oro?, si chiede san Massimo il Confessore. Forse allora il male è nella mente che pensa l’oro? Anche la mente è stata creata da Dio. Allora dov’è il male?

Il male è nell’attaccamento, risponde san Massimo, è nel desiderio di usare male ed egoisticamente l’oro. Il male non è né nell’oro né nel potere: è nel cuore impuro. Tutto è puro per chi è puro, dice l’adagio. Già, ma chi è puro, eccetto la Madre di Dio? Esiste nel mondo come una corrente di male che è la somma di tutte le debolezze, distorsioni, perversioni umane; una corrente che passa anche dentro di noi. Il mondo, dice san Basilio, è la somma dei desideri del male. Questo è il mondo da fuggire, rifiutare, combattere, ma nel quale vivere come operai di bene.

I care, è il motto dell’università americana. Cioè, mi faccio carico, mi impegno dove sono chiamato a farlo. Tutti quelli che hanno delle responsabilità devono occuparsi moltissimo: e tutti ne abbiamo, a cominciare dalla responsabilità di noi stessi. Vivere vuol dire lavorare con Dio che lavora, darsi da fare con Dio per ritrovare la strada del Paradiso perduto.

Fare politica, occuparsi di politica è uno dei lavori più nobili da compiere in collaborazione con Dio. La politica è l’arte del possibile, lo sforzo di trovare le soluzioni più praticabili per migliorare la gestione delle relazioni sociali e della vita della comunità umana. Il criterio cristiano però è, come sempre, paradossale. Diceva Origene: Non accettiamo gli amanti del potere a governare le chiese, al contrario facciamo pressione su quelli che per eccessiva modestia non vogliono accettare la comune responsabilità della chiesa di Dio. E gli uomini che ci governano onestamente sono proprio quelli che abbiamo forzato a questa carica…

Un cristiano con una vita spirituale intensa, allenato nell’esercizio del difficile discernimento fra bene e male, un cristiano che prega e che desidera la solitudine con Cristo, ecco il tipo più adatto per fare il politico. Nell’Italia del dopo guerra, negli anni Cinquanta quando c’era tutto da ricostruire, alcuni fra i cristiani di questa razza si buttarono generosamente nella politica e ne sperimentarono presto tutta la difficoltà. Sento dire che qualcuno, per non ammalarsi, vorrebbe scappare, diceva loro don Primo Mazzolari. D’accordo: una cella monastica è ben più riposante di un seggio parlamentare, scriveva. “Ma in una cella non sempre c’è più Dio. Ogni testimonianza è una tempesta d’animo. Rimanete dunque come rimane la sentinella degli avamposti, come rimane il capitano sulla nave che affonda: rimanete come deve rimanere un cristiano ovunque lo collochi Dio, anche sulla croce”.

Flaminia Morandi
NP gennaio 2004

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