Morto Alex Rolle, poeta del ritmo
Pubblicato il 31-08-2009
È morto Alex Rolle, quaranta anni, jazzista tra i più noti in Italia, percussionista raffinato, colto e sensibile.
Morto Alex Rolle, poeta del ritmo È morto Alex Rolle, quaranta anni, jazzista tra i più noti in Italia, percussionista raffinato, colto e sensibile. Non sono un cronista (non più) di nera, spero di essere un onesto critico musicale. Non so e non voglio fare indagini ma racconterò invece la storia di Alex, il musicista, l’amico, un amico dalla vita difficile, un amico che aveva superato le mille battaglie di una vita movimentata e che ora pareva finalmente sereno e tranquillo. |
Parlavamo di tamburi, al telefono, qualche giorno fa, come accadeva sovente, e, nella sua voce, nulla lasciava trapelare l’assurda tragedia in atto. Alex era lucido, lucidissimo, concreto: pensava solamente alla musica e alla sua cara figlioletta adolescente. I problemi non mancano nella vita di un musicista di jazz: soldi pochi, il lavoro scarseggia... la concorrenza dei dilettanti stravolge un mercato che è già povero. Ma forse c’era dell’altro a turbare l’esistenza di Alex Rolle, qualcos’altro su cui non vogliamo indagare e tanto meno indugiare. Poi i primi tamburi, quelli veri. Poi l’amore per la musica cubana: farà due viaggi all’Avana dove soggiornerà a lungo per imparare (con l’aiuto dei più forti suonatori al mondo) un’arte che solamente nei Caraibi conoscono. Il tamburo come rito, il ritmo come colonna sonora di quel rito. Ritorna in Italia che è fortissimo, non ha rivali. Si accorge di lui anche Franco D’Andrea, il sommo pianista, che lo invita a fare parte del suo quartetto (lavoreranno insieme durante circa sei anni, dal ’97 al 2003). Poi si apparta per qualche tempo e quindi ritorna prepotentemente sulle scene in duo con il pianista torinese Daniele Tione. Incidono un disco, fanno dei concerti con il trombettista Kenny Wheeler, uno tra i giganti del jazz contemporaneo. Lo stile di Alex mi affascinava. Le sue mani volavano con lievità sopra i suoi tamburi e insieme con i suoni del vento e del mare sapeva imprimere un’energia che evocava i climi ancestrali di mondi lontani. Tecnicamente era insuperabile: la testa e il cuore ragionavano all’unisono e con quella forza le sue mani inventavano ritmi, melodie e «interplay» di inaudita intensità poetica. di Franco Mondini (tratto da La Stampa del 26 giugno ’05) |