Guareschi - Due Santi da mezza stagione - 1

Pubblicato il 31-08-2009

di Gianni Giletti

 

Pubblichiamo questo racconto di Giovannino Guareschi grazie alla squisita cortesia e disponibilità dei suoi figli Alberto e Carlotta Guareschi, che ci hanno dato l’autorizzazione a pubblicarlo sul nostro sito. A loro e alla signora Silvia Bellingeri di RCS vanno i nostri sinceri e calorosi ringraziamenti.

La Redazione

Il territorio del comune amministrato da Peppone & compagni era diviso in sei frazioni e una repubblica.
In origine, il gruppo di casupole della Pioppina faceva parrocchia: possedeva cioè, oltre alla chiesa, una casa parrocchiale e un beneficio parrocchiale che permettevano al prete titolare di ripararsi dalle intemperie e di consumare i pasti con sufficiente regolarità.
Ma, un brutto giorno, il fiume grosso s'incapricciò del podere che costituiva il beneficio e che, disgraziatamente, faceva parte della fertile fascia di terra tra il fiume e l'argine.
Piacciono, al fiume grosso, questi scherzi: per mille anni lambisce una terra senza che niente succeda ed ecco che, d'improvviso, l'acqua incomincia a rosicchiare la sponda e, un boccone dopo l'altro, si mangia tutto.

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Oppure accade il contrario : il fiume d'improvviso prende a regalare terra e un poveretto che possedeva, tra l'argine e il fiume, una strisciolina di cinque o sei biolche di pioppeto, si trova a un tratto padrone d'un grande e grasso podere.
Alla terra del beneficio parrocchiale, il fiume giocò lo scherzo del primo tipo e smise di mangiar terra soltanto quando fu arrivato a una decina di metri dal fabbricato colonico che stava addossato all'argine e che nessuno volle più abitare perché, era da preveder si, l'edificio avrebbe seguito la sorte di tutto il resto. E difatti, quando venne la piena, la casa si sciolse dentro l'acqua. E quando l'acqua si ritirò, dell'edificio era rimasto soltanto un mucchietto di mattoni coperti di fanghiglia.
Il vecchio parroco della Pioppina tirò avanti ugualmente perché, arrivati a una certa età, si vive per forza d'inerzia. Ma una brutta notte, la canonica andò a fuoco e il poveretto salvò delle sue cose soltanto la pelle.
Allora, visto che non era neppur possibile pensare di trovare i quattrini per ricostruire la canonica, il povero vecchio morì.
E, col parroco della Pioppina, morì anche la parrocchia della Pioppina.
Quelli della Pioppina, rimasti senza prete, andarono dal Vescovo a protestare ma il Vescovo allargò desolato le braccia.
"Figlioli, non c'è nessuna ragione che giustifichi i grossi sacrifici che si dovrebbero fare per mantenere in vita la parrocchia della Pioppina".
"Se la parrocchia della Pioppina è sempre esistita, significa che le ragioni ci sono" obiettò il più autorevole della commissione.
"No, figlioli" rispose il Vescovo. "E per capirlo basta che voi ricordiate la storia della vostra parrocchia".
Quelli della commissione sapevano soltanto questo, della storia della chiesa della Pioppina: che era la loro chiesa.
Il Vescovo chiamò allora il segretario e si fece portare un grosso incartamento dell'archivio e mostrò a quelli della commissione delle vecchie carte
"Fino all'anno 1780" spiegò il Vescovo "la Pioppina non era parrocchia e non aveva chiesa: l'esiguo numero di abitanti e la vicinanza al borgo principale rendevano cosa inutile di fare della Pioppina una parrocchia. Ma nel 1780 morì, solo e senza eredi diretti, un tal Negrini che possedeva una bella casa, un bel podere e un sacchetto di scudi d'oro. E il suo testamento, come avete visto, stabiliva in parole povere: lascio il mio danaro per erigere, alla Pioppina, una chiesa, lascio la mia casa perché essa sia adibita a canonica e lascio il mio podere per rendere possibile la costituzione e il mantenimento della parrocchia della Pioppina. Altrimenti ogni mio avere passi al tal dei tali, mio terzo cugino. E così nacque e visse la parrocchia della Pioppina.
Ma adesso che la canonica è distrutta e che la rendita del beneficio se la prende il fiume, tutto quello che noi possiamo fare è di incaricare don Camillo di venire a celebrare la Messa nella vostra chiesa per la festa di Sant’Ippolito e di San Mauro, patroni della Pioppina. Non vi nuoceranno, le altre volte, i quattro passi che dovrete fare per arrivare al borgo".
"Non è una questione di distanza" risposero quelli della commissione" è una questione di principio.
"Il principio di ogni buon cristiano è quello di cercar di conquistarsi il Paradiso anche se non può fruire del servizio spirituale a domicilio. Alla Pioppina non c'è il veterinario: eppure se una delle vostre bestie sta male, voi correte al borgo a chiamare il veterinario. Volete dunque considerare la salute della vostra anima meno importante della salute di un vitello ?"
La commissione tornò al paese e riferì quel che il Vescovo aveva detto e la gente ascoltò attentamente senza far commenti.
Ma quel silenzio cupo costituì - agli effetti della storia e della geografia - l'atto di fondazione della repubblica della Pioppina.
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Da quel giorno, infatti, la Pioppina iniziò l'azione di distacco morale dal borgo grosso
e il motto fu: "Non vogliamo dipendere dal borgo né per quanto riguarda il prete, né per quanto riguarda il resto".
Percorrevano tre volte tanto di strada ma ogni spesa l'andavano a fare al capoluogo del comune più vicino. Nel frattempo Cimossa, l'oste del Moro, si attrezzava aggiungendo all'osteria con gioco delle bocce e rivendita sale e tabacchi un reparto di vendita generi vari.
Trovarono un giovane medico libero che, attrezzato alla Pioppina un piccolo ambulatorio, incluse gli abitanti della neo-repubblica nel giro dei suoi clienti.
Liberatisi del medico comunale, i pioppinesi cercarono di liberarsi del veterinario. Non ci riuscirono e allora decisero solennemente: "Le bestie possono rimanere assoggettate al borgo grosso: l'importante è che abbiamo guadagnato l'indipendenza noi che non siamo bestie".

Tutto questo fu fatto in silenzio ma, ben presto, la manovra fu chiara e ancor più chiara diventò quando Cimossa, padrone dell'osteria del Moro e capo della cellula comunista della Pioppina, andò a trovare Peppone e gli disse: "Capo, tutti i compagni della Pioppina non vogliono più dipendere dalla sezione del borgo".
"Questa è bella da ridere ! I compagni delle altre frazioni dipendono tutti dalla sezione comunale: i compagni della Pioppina sono diversi da quelli delle altre frazioni?"
"No, capo: i compagni sono uguali. È la Pioppina che è diversa".
I rossi della Pioppina erano una banda gagliarda; gente decisa, pronta a rimboccarsi le maniche ad ogni momento. Peppone prese la cosa con garbo: "Compagno, capisco. Però tieni presente che il campanilismo è uno dei più gravi pericoli per il trionfo della causa. Niente deve dividere i compagni, neanche i confini che esistono ancora fra stato e stato. Un compagno della Pioppina deve considerarsi uguale identico a un compagno di Pekino, anche se hanno la pelle di colore differente dalla sua".
"D'accordo, capo. Ma fra la Pioppina e Pekino c'è meno distanza che fra la Pioppina e il borgo".
Stando così la faccenda non era il caso di insistere.
"E cosa vorreste allora? Dipendere direttamente dalla federazione provinciale ? "
"No: la cellula della Pioppina si trasforma in sezione autonoma della Pioppina".
"Ho capito : ti è venuta la smania di diventare gerarca".
"No, capo: infatti, riconosciuta l'autonomia della sezione, noi ti eleggeremo fiduciario della sezione".
"Va bene: ma non resta tutto come adesso ? "
"No, tutto cambia. Noi infatti non dipenderemo più dalla sezione del borgo, ma dal compagno Bottazzi".
In fondo si trattava semplicemente di far stampare un po' di carta da lettera con l'intestazione: P.C.I. Sezione de La Pioppina - Il fiduciario. E di usare la carta normale per inviare gli ordini alle altre frazioni e la nuova carta per inviare gli ordini alla Pioppina. Per evitare una scissione valeva la pena di sacrificare qualche lira.

E tutto funzionò perfettamente. Si capisce che, il giorno in cui lo Smilzo sbagliò carta e alla Pioppina arrivò una lettera con l'intestazione della sezione del borgo, la lettera venne rispedita a Peppone con questo chiarimento:
"Al compagno Giuseppe Bottazzi,
riceviamo una lettera di disposizioni per il tesseramento firmata dal fiduciario della Sezione del Borgo. Come sai la nostra sezione è autonoma e riceve ordini soltanto dal proprio fiduciario, compagno Giuseppe Bottazzi. Ciò per la regolarità
".
Peppone, con carta intestata della sezione del borgo, rispose scusandosi per l'involontario errore e, con carta intestata della sezione di Pioppina, scrisse la lettera per il tesseramento.
Quando oramai la repubblica della Pioppina era moralmente costituita e funzionante, giunse la festa di Sant’Ippolito, uno dei due patroni del paese e don Camillo si presentò alla porta della chiesa per celebrare - come da ordini ricevuti - la Messa.
Trovò inchiodato alla porta un cartello:"Chiuso fino al ritorno del Parroco titolare. La Popolazione".

Don Camillo capì l'antifona e, risalito sulla bicicletta, tornò a casa. E la chiesa della Pioppina rimase chiusa, e nessuno della Pioppina andò più a Messa.
Poi accadde qualcosa di imprevisto ma cui nessuno aveva pensato: nacque un bambino e si trattò di battezzarlo.
"Piuttosto che andare a battezzarlo al borgo non lo battezzo" affermò il padre del bambino.
Trovò contro di sé l'intera parte femminile della famiglia e la discussione, dopo due giorni, finì in piazza, con partecipazione di tutti i pioppinesi.
La discussione fu lunga ma alla fine parve che qualcuno avesse trovato l'argomento per chiudere la bocca a tutti:
"Anche quando la Pioppina era parrocchia, le dichiarazioni di nascita si facevano non qui, ma in comune. Adesso, dopo aver denunciato la nascita del bambino in comune, non volete denunciare la nascita a Dio. Ciò significa che voi considerate più importante il sindaco che Dio".
L'osservazione fu meditata e il padre del bambino fu, oltre al resto, particolarmente colpito dal fatto che, non battezzando il pupo, si correva il rischio di sopravvalutare il sindaco del borgo grosso.
"Domattina andrò a battezzarlo" concluse.
Allora intervenne Cimossa:"Fino ad oggi ogni nato alla Pioppina è stato registrato nel libro della parrocchia della Pioppina.Se lo battezzate al borgo, il bambino sarà registrato nel libro della parrocchia del borgo. Con questo atto ufficiale noi della Pioppina rinunciamo alla nostra cittadinanza e riconosciamo che la Pioppina non è più parrocchia e dipende in tutto e per tutto dal borgo. La Pioppina accetta di diventare una colonia del borgo".
Il ragionamento preciso di Cimossa impressionò tutti, e il padre del bambino ritornò sulle sue decisioni
"Non lo battezzo! Mio figlio non sarà un traditore della patria "!
Brutto affare per il povero neonato. Per fortuna, al momento giusto, venne a galla don Candido.

 

1 - continua

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