Il digiuno di chi ama

Pubblicato il 12-03-2013

di Flaminia Morandi

L’universo non è soltanto una catena orizzontale di cause ed effetti, ma una rete verticale radicata nell’invisibile. Abbiamo dimenticato che in ogni cosa c’è un segnale rivelatore del divino, che è la vera realtà, l’essenza della cosa. Tutto è simbolo: il bulimico si ingozza di cose inutili che poi vuole rivomitare; l’anoressica soffre la fame delle cose essenziali che non trova attorno a sé. Come un bimbo abbandonato e curato in istituto in modo impersonale, entrambi desiderano morire. I bisogni del neonato senza mamma vengono soddisfatti, ma il suo desiderio profondo viene ignorato. Non è del cibo o soltanto del cibo che ha fame; è dell’amore. Così accade anche agli anoressici e ai bulimici: hanno disgusto delle “cose” e fame di un Amore più grande.

I Padri del deserto, che il linguaggio simbolico lo utilizzavano per farsi capire, dicevano che Adamo in paradiso digiunava: per dominare i propri desideri, per essere in stretta relazione con il Creatore, per vedere il mondo non come preda ma come eucarestia. In paradiso dunque si digiuna senza avere fame.

Gli atti elementari del mangiare e del digiunare hanno un significato spirituale in tutte le tradizioni religiose. Ma il digiuno cristiano va oltre. Gesù comincia la sua carriera pubblica con un digiuno di quaranta giorni. Questo digiuno è la vittoria sulle più grandi tentazioni: trasformare le pietre in pane, cioè ridurre l’uomo ai suoi soli bisogni materiali; gettarsi dal pinnacolo del tempio, cioè affidarsi alla magia negando la forza di gravità, cioè la corporeità; stringere un patto con il Nemico, cioè optare per un’onnipotenza che soffocherebbe la libertà umana: e invece il nostro Dio, dice Pavel Evdokimov, si fa debole per amore, e l’amore non forza nessuno.

Il digiuno vince le tentazioni perché ribalta il rapporto fra l’uomo e il Creatore, fra l’uomo e le creature, fra l’anima e il corpo. Non mangiare è dire il proprio bisogno di Dio: si resta digiuni prima di comunicarsi perché quella fame sia simbolo della fame che ho di Lui. Non mangiare significa interrompere il rapporto di morte che c’è fra l’uomo e le creature di cui si ciba per sopravvivere. Non mangiare significa astenersi dall’uso bulimico dell’intelligenza, dalle conoscenze che si moltiplicano senza che servano a nessuno, dalle parole che non provengono dal cuore, dal potere e dalla gloria umana, dalla maldicenza, che è un modo come un altro per divorare gli altri.

Il digiuno è soprattutto digiuno dalle passioni, per ristabilire in terra l’ordine paradisiaco e preparare il corpo alla trasfigurazione. Perciò gli asceti cristiani hanno praticato molte specie di digiuni. Nella Vita copta di san Pacomio, i monaci mangiavano pane nero fatto una volta all’anno e bagnato nell’acqua. Certe volte alla farina veniva mescolata della cenere. Alcuni mangiavano ogni tre o quattro giorni; i monaci del deserto una volta al giorno la sera. San Francesco digiunò quaranta giorni; ma verso la fine mangiò un po’ di pane per non insuperbirsi d’avere fatto come Cristo.

Ma il pieno significato del digiuno è ancora oltre. In un aneddoto patristico un fratello consulta un anziano: “Ci sono due fratelli. Uno non abbandona mai la propria cella, prega per sei giorni consecutivi e pratica ogni sorta di mortificazione. L’altro cura i malati. Quale dei due si comporta nel modo più gradito a Dio? E l’Anziano risponde: anche se il fratello che digiuna sei giorni consecutivi dovesse impiccarsi per il naso, non potrebbe mai eguagliare quello che cura i malati”.

Nella Chiesa antica ogni volta che a un fratello mancavano i soldi, o rischiava la galera per debiti, tutti digiunavano e destinavano il ricavato dell’astensione dal cibo per sollevarlo dalle preoccupazioni. San Giovanni Crisostomo, che quando predicava incantava la folla, ricorda: “Gesù Cristo non dice: se volete essere simili a Dio, dominate il vostro corpo, mortificate la vostra carne, purificate il vostro cuore, elevate il vostro spirito a lui nella preghiera: queste virtù, per quanto siano necessarie alla salvezza, non costituiscono affatto l’essenza e il carattere di Dio. Ma la bontà, la compassione, la misericordia e l’amore, questi sì sono al contempo opera e natura di Dio”.

Il significato più profondo e vero del digiuno è dunque nell’amore del prossimo e nella condivisione con chi soffre qualsiasi tipo di fame. Mangiare e digiunare sono un promemoria di Dio: ci ricordano l’origine e il senso della nostra vita.

Flaminia Morandi
NP novembre 2005

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