La speranza e il futuro

Pubblicato il 11-08-2012

di Giuseppe Pollano

"Che cosa abbiamo diritto di sperare?" (E. Kant) - di Giuseppe Pollano - La rassegnazione e il pessimismo non sono nel dna del cristiano. La certezza che Dio c'è ed è fedele alle sue promesse lo rende artefice nel fare del mondo un laboratorio di bene e di gioia per la vita.


Bambino che guarda dei palloncini volareLa speranza è il desiderio di quella felicità per cui siamo fatti, ma che non si ha ancora. Si crea quindi in noi un meccanismo di desiderio e di aspirazione. La speranza oggi fa difetto in quasi tutti gli aspetti della vita sociale: politico, economico, ecologico, educativo, familiare perché c'è sproporzione tra i problemi e le soluzioni autentiche che sappiamo dare. Tutto l'orizzonte del nostro vissuto pratico è appesantito da pessimismo. Il futuro è diventato un grande punto interrogativo, a cui si pensa poco volentieri: ecco il vuoto mentale. Chiedendo a un giovane quale sarà il suo futuro spesso risponde che non può prevederlo, preferisce non pensarci. Sono risposte gravi, non qualunquiste.

Siamo nel post moderno: sono sparite le maxisperanze che hanno incominciato a lievitare dal XVII secolo in Europa e che portavano la convinzione che tutto fosse finalmente raggiungibile. La maxisperanza che la scienza, la dea ragione, avrebbero migliorato l'uomo. "Aprite una scuola, chiuderemo una prigione". Ora ci rendiamo conto che non c'è equivalenza tra progresso scientifico e progresso umano. La maxisperanza della rivoluzione per arrivare a libertà e giustizia. La storia ha dimostrato tragicamente e duramente che la rivoluzione non è capace di produrre giustizia. La maxisperanza che la spensieratezza potesse dare la gioia, aiutare a non aver paura. Lo spettacolo è diventato la vita virtuale, in cui si entra un momento per trovare un rifugio da ultima sponda.

Il vuoto mentale - nessuna prospettiva, vivi il momento - è aggravato da quello che possiamo chiamare vuoto spirituale: non soltanto ti manca il futuro, ma il futuro non sai più spingerlo oltre la tua tomba, ti manca cioè il futuro definitivo, quello che risolve davvero, ti manca la trascendenza in sostanza. Rimaniamo schiacciati dentro tutte piccole cose misurabili, finite, che ci sono e poi non ci sono più. La città del caos, come direbbe Isaia, questo disordine che ti prende, che ti travolge, che ti eccita, che ti stimola, che ti chiama e poi ti butta nell'angoscia. Cartello indicante direzioni diverse per futuro, presente e passatoSiamo schiacciati dentro la finitezza di questa sola esistenza dalla nascita alla morte, e senza prospettive trascendenti siamo costretti a sperare in piccolo per non disperarci in grande (Cacciari), dobbiamo abituarci a convivere con il niente (Vattimo), a fondare la nostra vita sul nulla (Stirner). Il nulla è una specie di ossessione che noi stiamo vivendo, il niente è una parola che vaga dappertutto, che toglie il valore a tutto, che mette il dubbio su tutto. Ami? Durerà? Ma! Il ma sta diventando un commento a tutte le cose della vita. Vivere di ma non solo non è giusto, certamente non è bello.


 
 
Il compito del cristiano: non rassegnarsi

Il cristiano lamentoso è un cristiano che non ricorda che Gesù è stato ucciso, messo dentro un sepolcro e poi è risorto. Come cristiani dobbiamo guardare, poi andare oltre il muro del lamento e avere il coraggio di addossarci il peso che opprime tanti fratelli e tante sorelle. Il che, in pratica, comporta due azioni.

La prima è smontare la menzogna che ha dominato la cultura, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, che riguardava l'aspetto trascendente e religioso. La religione è stata definita oppio e nevrosi. Oppio perché ti fa guardare in alto e ti fa dimenticare i tuoi problemi, oppio perché preti e altri ti fanno guardare verso l'alto e poi ti prendono il portafoglio di tasca. E nevrosi collettiva: chi è uomo non ha bisogno di trascendenza, mentre chi ha meno equilibrio è meno maturo, è più fragile, cerca di aggrapparsi a qualcosa che non c'è, in realtà è un nevrotico. Marx e Freud. Queste menzogne sono passate, però non è stato messo nulla al posto, quindi hanno lasciato un vuoto amaro.

Smontiamo anche la paura rassegnata, che è la vera malattia mortale, come dice Kierkegaard, non smontiamo solo le menzogne. Ci sono persone che non hanno alcuna ragione oggettiva di ansia, eppure c'è questa cappa, questa malattia mortale, che porta alla sfiducia, che si traduce poi in sfiducia politica, sociale. Ragazzo che dorme sul portatile"Non vale la pena di impegnarsi" è frase ricorrente. Queste sofferenze psichiche sono sofferenze autentiche. Non limitiamoci a soffrire e ad entrare in empatia con loro. Si porta speranza affrontando i problemi con atteggiamenti, scelte e stili di vita. Opponi il concreto al concreto, vinci la paura rassegnata di una persona avendo tu un sereno e splendido coraggio nella stessa situazione.
Non accettiamo che l'uomo sia semplicemente un essere spaurito e rassegnato (Heidegger). È vero che l'uomo può essere molto spaventato, ma questa non è la sua identità. Anche oggi si può morire martiri! Smontiamo questo pessimismo diffuso!
C'è chi tenta di superare la paura seguendo il consiglio che Brecht dà in una sua elegia: "Non vi lasciate illudere, è poco la vita. Bevetela a gran sorsi, non vi sarà bastata quando dovrete perderla". Richiama l'oraziano carpe diem, però è più grave. Orazio diceva di accontentarsi della vita, ma Orazio era un romano prima di Cristo, qui siamo di fronte ad una cultura cristiana, siamo capaci di Dio, non viviamo nella disperazione, nel senso profondo della parola – la de-speratio – che non è una emozione, ma una considerazione lucida, fredda.

Possiamo smontare la menzogna e la paura rassegnata perché grazie alla fede non puntiamo sul qui e adesso. Non crediamo che la vita ci dia tutto, ma non diciamo che la vita è un incompiuto. Noi crediamo nell'incompiuto positivo, nell'apertura al compimento, sappiamo che il compimento esiste. Ogni volta che diciamo Padre con fede passiamo dal finito all'infinito, conviviamo con l'infinito un attimo interiore. La speranza umana si fonda sul probabile, quella cristiana su un futuro che è certo. Mentre il futuro umano sale da noi uomini, la speranza cristiana scende da Dio. Il mio avvenire non me lo costruisco da me, la certezza mi viene incontro dalle promesse di Dio. Ed allora esercitati ad essere capace di guardare Dio e digli "spero in te, di te mi fido!". Si tratta di essere certi che al di là di tutto Dio c'è.


Dalla parola di Dio si attinge direttamente il dinamismo della speranza


La Parola di Dio alimenta il viaggio della speranza
(Mc 1, 14-15). Gesù è una magnifica notizia e la si deve dire, senza retorica e esagerazione. Pensiamo alle beatitudini (Mt 5, 4-6): non sono un paradosso, sono vere! Pensiamo a quel "rallegratevi", chissà con quale tono l'ha detto Gesù! Mi devo rallegrare perché grande è la ricompensa nei cieli (Mt 5, 12): detta da Dio è una frase che dà gioia, non comincio più dalla stanchezza e dalla fatica di vivere. Ed ancora: "chiedete, cercate, bussate" (Mt 7, 7-11); "molto frutto" (Gv 15, 5); "Cristo nostra speranza" (1Tm 1, 1 e altrove); "speranza a cui siamo chiamati" (Ef 4, 19).
La fede ci rende capaci di sacrificio superando anche le belle e legittime dimensioni della vita, capaci di andare avanti senza voltarci a guardare indietro con rimpianto, capaci di mettere mano alla ricostruzione permanente del mondo. È la "speranza di cui ci vantiamo" (Eb 3, 6).
Pietro invita a rendere conto della speranza (1Pt 3, 5). La speranza che abbiamo non è una conquista fatta sui libri, Riflesso negli occhi di una ragazzal'abbiamo perché guardando avanti vediamo un bene più grande che ci abbaglia, ci incanta, ci attira e ci convince. E siamo capaci allora di fare tutto quello che Dio ci chiama a fare, perché un cuore che respira Dio non si rannicchia.

La Parola di Dio insegna la visibilità dell'incarnazione.
Ecco l'incarnazione: siamo capaci di chinarci sull'altro e sollevarlo. L'incarnazione ci spinge ad una intensa azione storica che non si ferma dinanzi a nessun ostacolo umano, osa l'inosabile (1Cor 2, 14). Prega, radicati in Dio, poi ascoltalo e Dio farà presto a buttarti dove non c'è terra su cui mettere i piedi, eppure non cadrai. La speranza frutto della santità è essenzialmente questo.

La Parola di Dio trasforma il mondo in un laboratorio benefico
Non posso passare in questo mondo senza aver lavorato (labor = fatica, sforzo) per trasformarlo in un laboratorio di bene. Mi gioco tutto in questo laboratorio, io non ci sono più, ma il bene fatto rimarrà. Lavoro assumendo le mie responsabilità solo perché spero e so che oltre la porta c'è il giardino. Qui il laboratorio, dopo il giardino.
Noi accettiamo per principio di essere veri responsabili non di tutto il mondo, ma di quel pezzetto di mondo che Dio ci mette davanti. Dall'accettazione di un principio si passa perciò ad una assunzione pratica di responsabilità, perché vero responsabile è chi poi vive le cose.
È molto bello credere che tutto è possibile, quindi al di là della tristezza e dei momenti difficili, noi siamo gente che spera, e sperare vuol proprio dire essere capaci, essere certi che il bene sarà fatto perché ce ne rendiamo totalmente responsabili.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all'Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore
 
 
 
 

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