CHE DIO INGIUSTO

Pubblicato il 24-05-2013

di Flaminia Morandi

Non dire che Dio è giusto, dice Isacco di Ninive, l’umile e dolce monaco siriano diventato cieco a forza di lettura e di ascesi: come puoi chiamare giusto Dio, quando leggi dell’operaio dell’undicesima ora? O la parabola del figliol prodigo che sperpera nella scioperataggine le ricchezze di suo padre? Dov’è la giustizia di Dio? È questa: che noi eravamo peccatori e Cristo è morto per noi. Ecco perché la Chiesa è il corpo di Cristo, scrive il teologo ortodosso Olivier Clément: perché è il luogo per rinascere, lo spazio del mistero della vita dopo che, con l’Incarnazione, Dio è uscito dal Libro e si è consegnato all’uomo per comunicargli la sua stessa vita, “la” Vita, cioè la resurrezione.

Per tutti c’è un unico pane, l’eucarestia, Per tutti c’è un unico pane, l’eucarestia, e questa partecipazione mette ognuno in comunione sostanziale con l’altro. Non ci si salva da soli, dice Charles Péguy, non si ritorna tiga amandolo e offrendosi come laboratorio della sua trasformazione. da soli alla casa del Padre. Ci si dà la mano: il peccatore dà la mano al santo e il santo dà la mano a Gesù, e questa è la Chiesa. Icona di Dio è la Chiesa, dice san Massimo Confessore, nato nel Golan, orfano bambino, cresciuto in un monastero palestinese, profugo a Cartagine, difensore della divinoumanità di Cristo e perciò esule in Tracia e a Costantinopoli, morto nel Caucaso dopo terribili torture e il taglio della lingua. Icona di Dio è la Chiesa.

Molti e quasi infiniti per numero sono gli uomini, le donne, i bambini, scrive Massimo, molti per nascita e per genere, per nazione e per lingua, per modo di vivere e per età, per disposizione di spirito e per arti, per costumi e propensioni, per scienza e dignità, per fortuna, aspetto e abitudini, fra loro tutti diversi; ma tutti fanno parte della Chiesa, rinascono grazie a essa e sono rigenerati nello Spirito. Icona di Dio è la Chiesa che concede e dona ugualmente a tutti una sola forma divina e un solo nome, cioè vita e nome da Cristo. Icona di Dio è la Chiesa perché come Dio abbraccia tutti nella stessa unità, in una sola, sabbia e mare semplice, intera, indivisibile condizione. L’acqua del battesimo che trasforma il cuore di pietra in cuore di carne significa lasciare la morte dietro di sé, a cominciare dalla morte dell’angoscia e del senso di colpa.

Come un pugno di sabbia nell’immensità del mare sono le colpe di ogni carne in confronto con la misericordia di Dio, dice Isacco di Ninive: la cattiveria delle creature non ce la fa a vincere la compassione del Creatore. Ecco perché il peccato più grande è non comprendere la grazia della resurrezione: questo Dio ingiusto, folle d’amore, non smette di scendere nella storia dell’uomo alla perenne ricerca di Adamo, riesce a trovarlo solo nel suo inferno e per amore entra nello sheol, sfolgorante della sua luce.

Ma se nel regno dei morti c’è un Vivente, non esiste più un regno dei morti. Il diavolo ha paura, capisce che per lui è finita: con la sua morte il Risorto calpesta la morte e strappa Adamo ed Eva alla disgregazione del nulla, per riportarli al Padre. Icona del Padre è la Chiesa che di fronte a qualunque delitto dell’uomo, lo castiga amandolo e offrendosi come laboratorio della sua trasformazione.

Flaminia Morandi
NP giugno/luglio 2004

 

il cardinale van thuan la forza della speranza

Book
Il Cardinale Van Thuan, la forza della speranza
Annachiara Valle
Cantagalli ‘09

“Steso sul pavimento cercava di catturare un po’ di aria fresca dalla sottile fessura che si apriva sotto la porta. La cella puzzava di latrina e di umido, conati di vomito lo perseguitavano giorno e notte, le gambe non lo sorreggevano più e la mente gli giocava brutti scherzi. Gli era venuto il panico quando aveva scoperto di non riuscire più a ricordare per intero le preghiere più comuni e a orientarsi nel trascorrere dei giorni. Il totale isolamento gli opprimeva l’anima, ma lui, François-Xavier Nguyên Van Thuân, Arcivescovo coadiutore di Saigon, continuava a credere che una mano invisibile, nonostante tutto, guidasse la sua vita e che da quella situazione disperata, in qualche modo, si potesse venir fuori. La fede lo sosteneva, non poteva cedere. Mesi prima, quando erano andati a prenderlo, la mattina del 18 marzo 1976, l’arcivescovo era già pronto. Aspettava e temeva quel momento fin da quando, il 15 agosto dell’anno precedente, era stato convocato, insieme con il suo arcivescovo, al palazzo presidenziale”

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