IL PRINCIPE DELLA PACE (3/4)

Pubblicato il 17-11-2011

di Giuseppe Pollano


La pace di ogni uomo con se stesso, con Dio e con tutti gli altri si declina in tre atteggiamenti: empatia, zelo, perdono. In questa riflessione esaminiamo il primo atteggiamento.

di Giuseppe Pollano



Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto (Rom 12,15)
Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6)
Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d'accordo nel Signore (Fil 4,2)
Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi (Col 3,12-13)
Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti (1Ts 5,14)
Per essere coloro che fanno la pace, siamo chiamati con Gesù, con la sua forza, a ricreare in noi quelle giuste relazioni con noi stessi, con Dio e con tutti gli altri, come abbiamo visto nella precedente riflessione.


EMPATIA

Quanto a portare la pace a chi non ce l’ha dentro di sé, siamo chiamati ad assumere un atteggiamento che, con un termine moderno, è definito empatia. Essa non è la semplice simpatia, è una condizione che tutti conosciamo e viviamo: consiste nel saper comprendere e condividere la situazione emotiva dell’altro, anche se ne siamo liberi.
Se tutti insieme contemporaneamente proviamo una profonda emozione per qualcosa che accade, questa non è empatia, perché ne siamo tutti coinvolti e stiamo reagendo allo stesso modo. Ma se tu soffri profondamente ed io sono in grado, non con l’intelligenza, ma con il mio stesso cuore, di rendermi conto che tu soffri e mi metto in sintonia con molta sincerità e partecipazione anche se io non soffro di ciò che soffri tu, questa è l’empatia. Dunque siamo in presenza di una maniera di comunicare con un altro così profonda che ci mette in grado di essergli vicinissimi. Senza empatia è difficile, perché rimane tra noi e l’altro una distanza, un giudizio, una pietà di maniera, insomma, non ci lasciamo prendere. Paolo, per esempio, esprimeva questa condizione (Rm 12,15) dicendo di gioire con chi gioisce e piangere con chi piange: non è un atteggiamento di circostanza, non posso cioè essere vicino ad una persona che sta vivendo intensamente una sua emozione senza prenderne cordialmente parte. Questo è molto utile, anzi necessario per aiutare gli altri a vincere i propri conflitti, le proprie drammaticità interne, perché solo così si sentono capiti, solo così sentono di non essere più soli.

Ci sono molti accenni nel nuovo testamento di questo modo di rapportarsi con gli altri. Alcuni esempi.
Ricordiamo Gesù che domanda all’infermo se vuole guarire (Gv 5,6). Coglie pienamente l’altro, entra nel pathos dell’altro, gli va incontro.

In Fil 4,2 Paolo raccomanda ai suoi cristiani di andare d’accordo; sembrerebbe un’espressione banale, ma andare d’accordo non si improvvisa. Il tuo modo di sentire devo raggiungerlo e devo consentire con te: ti vedo di malumore, non ti critico dicendo che hai il solito muso lungo, ma cerco di adattarmi al tuo modo. Forse hai bisogno del mio silenzio e allora taccio o forse di qualche altra cosa che mi suggerirà la mia sensibilità in quel momento, ma in ogni caso mi curo di te e cerco di arrivare a te anche se in quel momento tu stesso forse non mi vuoi. Andare d’accordo è un’arte di convivere anche nelle più piccole ordinarie cose.
Spesso non ci curiamo di andare d’accordo, basta così poco per criticare, darci fastidio, farci un po’ soffrire. Siamo tutti piuttosto rozzi nelle relazioni umane, non abbiamo quella delicatezza che invece da cristiani siamo obbligati ad avere: io sono per la tua pace.

In Col 3,12 Paolo ci chiede di avere tra noi tenerezza, bontà e umiltà. Non mi accontento di guardarti in faccia né di dialogare con le parole, ma voglio giungere al tuo cuore come è, all’intimo tuo emotivo.

In 1Ts 5,14 Paolo dà il prezioso consiglio di incoraggiare chi è scoraggiato. Quando siamo stati scoraggiati noi, è probabile che un vero incoraggiamento ci abbia sempre molto rinfrancati; forse non ha risolto tutto, ma l’abbiamo colto come il dono di qualcuno che capiva e che pensava che era bello essere lì per noi semplicemente per animarci un po’ e che trovava giusto spendere così il suo tempo e il suo cuore. Incoraggiarsi è frutto dell’empatia, perché ho capito che tu eri in crisi e non ti ho lasciato in quella situazione ma mi sono fermato vicino a te.

Ancora ai Colossesi (Col 3,13) Paolo dice di sopportarsi e perdonarsi a vicenda; è difficile, per esempio, capire chi si irrita per ragioni banali che non condividiamo, ma non si dice ad una persona irritata: “te la prendi per così poco?”, perché non solo non le si dà alcun aiuto, ma ancora una volta la si giudica. Prendere la misura del dolore dell’altro, anche se è di piccola entità, è sopportarsi, capire, avere l’unione dei sentimenti, come ci dice ancora Paolo (Fil 2,5).
Dobbiamo riconoscere di essere molto individualisti: il nostro peccato è semplicemente l’indifferenza, non si è fatto male al prossimo, ma lo si è lasciato con il suo dolore.

Nella vita continueremo ad essere in mezzo ad altri che hanno i loro problemi e i loro conflitti e non ne parlano mai. Può accadere in una famiglia quando i componenti portano in loro solitudini che non riescono mai a mettere sul tavolo, perché intuiscono che l’altro non è disposto a soffrirle. Nelle nostre case spesso regna l’indifferenza, è tanto se ci sopportiamo; nelle nostre comunità spesso regna l’indifferenza, è tanto se non siamo ostili, invidiosi. Nel piccolissimo anche queste sono guerre di religione. Con Dio non si scherza: o accettiamo che sia come lui dice o caschiamo nell’opposto.
Come viviamo l’empatia profonda con quelle persone fisiche che abitualmente sono attorno a noi? Dimmi: cosa ti serve che tu sia pieno di empatia e comprensione quando vai a fare il volontario e incontri la persona che soffre, mentre a casa tua sei una persona spigolosa, fredda, polemica? Non ti stai sbagliando? Il cristianesimo incomincia sempre dalle cose più terribilmente ordinarie, proprio quelle da cui spesso si esce, paradossalmente, per fare il cristianesimo. Invece no, il cristianesimo incomincia lì,dove Dio ti ha radicato e dove, evidentemente, è più difficile.

Questi atteggiamenti per essere facitori di pace presumono una empatia profonda, ma Paolo li presenta come la norma del vivere cristiano: sei cristiano, tendi a questo, ci credi e lo assumi come tuo stile. Evidentemente non è lo stile di questo mondo, non è neppure lo stile della buona educazione, è un’altra cosa. Se hai in te la carità di Dio, qualcosa dovrà pur cambiare, e, chi ne ha fatto esperienza, sa che davvero qualcosa cambia.


a cura della redazione
fonte: incontro all’Arsenale della Pace
con Giuseppe Pollano


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