Qualcosa di più dell'amore

Pubblicato il 19-04-2016

di Flaminia Morandi

di Flaminia Morandi – Ti amo, non ti amo più: talvolta basta lo spazio di un mattino per passare da una dichiarazione d’amore a una di guerra. E di colpo mesi, a volte anni, e anche lunghi anni in cui si è camminato insieme dicendo di amarsi non valgono più. Anzi chi si è amato, o si è detto di amare, diventa odioso, insopportabile, improvvisamente incomprensibile, estraneo, lui con cui si divideva il letto e le speranze. È lecito chiedersi se l’amore ci sia mai stato, o per che cosa è stato scambiato quel sentimento che gli somigliava. Io darei da leggere nelle scuole, insieme ai Promessi Sposi troppo lontani, la storia di Lev e Sveta: Qualcosa di più dell’amore. Ma cosa può esserci più dell’amore? Forse la fede che rende possibile ogni amore impossibile.

Lev e Sveta si incontrano sui banchi dell’università, Facoltà di Fisica, Mosca. Si innamorano e si frequentano, ma con delicatezza e pudore. Poi la storia li divide. Vivono in tempi cattivi, nella Russia di Stalin, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Per anni non sanno più nulla l’uno dell’altra, lei a Mosca, lui in un gulag in Siberia, ai lavori forzati. Quando Sveta scopre dove si trova Lev, intrecciano un epistolario di 1.246 lettere, 647 di Lev a Sveta, 599 di Sveta a Lev, uscito miracolosamente completo e intatto dagli archivi del KGB. Lettere d’amore senza una parola di impazienza o di rancore per la vita tribolata nel gulag dove la maggior parte dei compagni di Lev diventano violenti, alcolizzati, spenti, o per la monotonia triste dei giorni di Sveta, solo un immenso rispetto uno per l’altra e il sogno di stare insieme.

Ci riusciranno a 39 anni, vent’anni dopo il loro primo incontro. A novant’anni, quando li ha incontrati Orlando Figes, lo studioso inglese di cose russe che ha scritto la loro storia, Lev spingeva la sedia a rotelle di Sveta e Sveta teneva stretta la mano di Lev con immutata freschezza d’amore. Eppure, anche dopo il gulag, le prove per loro non erano finite: la difficoltà per un ex detenuto come Lev di trovare un lavoro, l’assistenza ai genitori malati di lei (con cui dormivano, per non lasciarli un attimo), la depressione ricorrente di Sveta, il bipolarismo di una dei loro figli, l’asfissia della vita sovietica.

La storia di Lev e Sveta è davvero qualcosa di più dell’amore: è un martirio nascosto, quotidiano, vissuto attingendo inconsapevolmente al serbatoio della fede ortodossa nella potenza trasformante dello Spirito. “Speriamo, Sveta, speriamo; la perdita della speranza è la paralisi, perfino la morte, dell’anima”: settant’anni di comunismo non sono riusciti a prosciugare mille anni di cristianesimo interiorizzato anche in un giovane formato nel comunismo. È lo Spirito il qualcosa in più dell’amore che ha trasfigurato l’umile speranza di due ragazzi ufficialmente atei in una grande testimonianza d’amore.

 

 

 

Rubrica di Nuovo Progetto

 

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