Signore ti prego

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

La preghiera nasce sempre da una necessità. È già qualcosa: è il segno che in qualche modo riconosciamo la presenza di Dio e che, anche se goffamente, cerchiamo di metterci in comunicazione con Lui. Sono preghiere fatte nel nostro stile umano: chiedere, prendere, ottenere. Raramente ringraziare: quello, ce lo scordiamo. Osserva Sant’Ambrogio: Eppure, se vai a chiedere qualcosa a qualcuno, non vai lì con arroganza a dirgli: dammi quello che ti chiedo. Prima saluti, poi ti intrattieni in colloquio, lodi, ringrazi e solo alla fine chiedi. Non ti comporti come un cane affamato che si butta sul cibo.
Anche l’avidità e la fretta fanno parte dello stile umano, dettato da una paura che non ci abbandona dal giorno fatale di Adamo: ho scoperto che sono nudo, ho paura, mi aggrappo istintivamente a chi percepisco potente, Dio, e cerco di coinvolgerLo nel mio sforzo per svoltare la vita, nell’unico senso che la paura mi fa intendere: il successo. Se poi dimentico di ringraziare, è perché nell’unico momento in cui mi sento forte, quando ho ottenuto qualcosa, voglio illudermi che il merito sia mio.
Le preghiere di richiesta, dice qualcuno, sono preghiere pagane. Eppure il Vangelo racconta delle tante persone che andavano da Gesù con la richiesta di essere guarite, e venivano esaudite, anche se questo non avveniva sempre in modo conforme alle aspettative.

Cosa chiedere dunque quando si prega? I grandi maestri sono tutti d’accordo. La preghiera, dice San Tommaso, è un’elevazione della mente a Dio, non un abbassamento della mente alle preoccupazioni terrene. Le faccende del mondo non sono che ombre, sostiene Origene, e nessuno compra le ombre; bisogna comprare piuttosto le cose vere, le cose grandi e il resto ci verrà dato in aggiunta. Non c’è niente di male a pregare per le necessità, dice Agostino; purché però si tratti di cose buone.

Già: e come si fa a sapere se ciò per cui preghiamo è davvero buono per noi? Nemmeno sappiamo cosa sia conveniente domandare, dice San Paolo. E spiega Evagrio: Meglio non pregare perché si realizzino i tuoi desideri; potrebbero non essere in accordo con la volontà di Dio. Ad ogni modo prega con insistenza, per dimostrare che il dono che chiedi è davvero prezioso per te. Essere insistenti, almeno, ti farà parlare spesso con Dio.
Ma anche l’insistenza non sempre è un bene. Non è un bene, per Barsanufio, la preghiera ostinata per guarire da una malattia: la malattia potrebbe servire alla nostra umiltà. Perciò, scrive ad un malato, tu prega dicendo: “Signore abbi pietà di me secondo la tua volontà”. E se proprio ti sembra di non pregare se non ci ficchi dentro i tuoi guai, aggiungi: “Se mi è utile, Signore, affrettati a guarirmi”.
In fondo, ogni preghiera dettata dalla paura, aggrappata ai beni materiali è un tentativo umano di piegare il cielo, far scendere Dio sulla terra, far portare a Lui i pesi che ci affliggono, scaricare su di Lui le nostre angosce. E Dio questa preghiera la esaudisce con tenerezza, come solo Lui sa fare.

Un bambino piccolo e povero nasce da una Madre vergine in una grotta di Betlemme, viene deposto in una mangiatoia, scaldato da animali senza parola, adorato da pastori. Il Dio potente a cui indirizzo con paura le mie preghiere di richiesta, ecco si fa vulnerabile e debole per mettere in moto uno scambio divino che ribalta il ciclo della necessità: assume la mia umanità e mi offre in dono la possibilità di essere divino.
La sua nascita verginale e trascendente interrompe la catena ineluttabile di nascite per la morte che caratterizza l’esistenza umana. Affinché io mi accorga di Lui, va a mettersi sull’oggetto dei miei desideri: la mangiatoia, la roba, i beni terreni da cui aspetto la salvezza. Davanti a me, che mi affido ai miei ragionamenti e a vane parole, si fa scaldare da animali privi di ragione e di parole, benedetti dalla sua Presenza.

Per me che voglio pane, nasce a Betlemme - che significa casa del pane - e mi mostra qual è il pane vero di cui ho bisogno.
Mi chiede solo di contemplare la scena e ascoltare il mio cuore. Anche se Gesù fosse nato mille volte a Betlemme, che utilità ne avrei se non fosse nato in me? scrive il mistico medioevale Angelo Silesius.
Ecco l’unico scopo della preghiera che Dio ci comunica con il suo Natale: non cambiare Dio, ma cambiare noi stessi. Pregare e pregare affinché nasca in ognuno di noi il bimbo di Betlemme, l’unico che ci apre la strada faticosa e luminosa verso il cielo.


Flaminia Morandi
NP dicembre 2006

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