La kenosi per accogliere Gesù

Pubblicato il 02-05-2015

di Giuseppe Pollano

Julian Garcia Mejia, Mani apertedi Giuseppe Pollano – Il celebre passo di Paolo (Fil 2,5-7) ci apre a quel mistero di Cristo che, dal punto di vista teologico e biblico, va sotto il nome di kenosi. Il Figlio di Dio decide, con un atto libero, di svuotarsi di se stesso, ossia estraniarsi dalla sua forma divina e prendere la natura umana, cioè di servo, poiché tale è la nostra natura dal punto di vista di Dio. Il Figlio di Dio si è adattato a vivere la nostra vita passibile di sofferenza e di tutto ciò che l’essere come noi comporta, eccetto il peccato. Ciò non significa che Gesù, facendosi uomo, ha cessato di essere Dio. Il potere di morire in croce e risorgere è di Dio, per questo motivo rimane Dio, e ne ha consapevolezza.
Paolo ha sentito il bisogno di inventare un termine forte ed espressivo, che non troviamo altrove nella Bibbia e che neanche nel greco parlato veniva usato nel senso usato da Paolo, per cercare di spiegarci questo annientamento del Verbo.


Vivere la kenosi: cosa vuol dire

Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo. Diventando simile agli uomini.
Siccome Paolo ci invita ad avere gli stessi sentimenti di Gesù, anche noi siamo chiamati a vivere la nostra kenosi. Ma cosa vuol dire vivere il mio annientamento? Per capirlo dobbiamo chiederci perché Gesù, con un atto libero, si è svuotato di sé. Il perché ha almeno due risposte.
La causa prima è l’amore che ha per noi. L’amore ci porta a donare del tutto noi stessi, intuiamo che esso è un dono che sa svuotarsi per dare, che non trattiene nulla per sé. Questo è il movimento che caratterizza l’amore.
La causa seconda è per comunicarci tale amore. Per donarci il suo amore, il Figlio di Dio si traduce in umano, diventa come noi, perché altrimenti non potrebbe parlarci, non potremmo vederlo, non potrebbe diventare nostro pane. Insomma, rimarrebbe una incolmabile distanza.
In Gesù Cristo che si incarna, allora, possiamo, con la fede, contemplare questo amore che, per donarsi a noi, non esita a svuotarsi e a farsi a nostra misura, adattandosi al nostro nulla, al nostro non essere Dio, perché noi riuscissimo a capirlo, a credere in lui. Insomma, a incontrarlo.

Allora il significato biblico della kenosi è il non trattenere nulla per sé, accettando liberamente di annullare il proprio ego per riempire gli altri di dono, di compassione, di benevolenza. Non troviamo un solo momento, una sola parola, un solo gesto del Signore che dia l’impressione che Gesù trattenga qualcosa per sé, dica o faccia qualcosa a suo vantaggio. Dà sempre l’impressione di uno che sta solo donando. In effetti, essendo l’amore in atto, Gesù non può comportarsi diversamente e come uomo diventa un modello perfetto.
Tu non avrai mai il dono di me se io non decido di dare, ossia non accetto di svuotarmi. Questa è una regola a cui nessuno può fare eccezione; il dono non si finge, lo si fa nella misura in cui davvero abbiamo accettato questo gesto, che Gesù incarna alla perfezione.
Cristo ha fatto così, il cristiano deve perciò fare così. Non si possono prendere distanze da Gesù.


L’ostacolo che portiamo in noi

Abbiamo un grandissimo ostacolo, aggravato dal fatto che siamo peccatori: è il nostro ego fortissimo, la tendenza a farci centro negli altri, a sacrificare gli altri al nostro io, a interpretarci come assoluti, a impedire di avere gli stessi sentimenti di Gesù. Così abbiamo rotta la relazione con Dio, non abbiamo più riconosciuto in lui l’Assoluto, e quello che noi desideravamo come la nostra più grande aspirazione è diventato in realtà il nostro carcere, la nostra fatica.


La via di uscita:
dall’auto-affermazione o dall’auto-distruzione
all’auto-negazione

Questo istinto potentissimo di auto-affermazione è nascosto in tutti, ci perseguita. Ci sono persone tormentate perché non sono quello che vorrebbero, devastate dall’invidia, annullate dal senso della loro inferiorità, ubriacate dal senso della loro superiorità. Il vivere per sé non fa felice nessuno.
È per questo che Gesù ha opposto a questa potentissima voglia di auto-affermarci il comando dell’auto-negazione: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Non ci ha invitati al suicidio, ma ad odiare una vita egocentrica per poter vivere in quella che lui ci ha insegnata: una vita altro-centrica, dove è l’altro il centro della vita, non io; dove l’altro è Dio e sono gli altri.

Odiare la propria vita: suona in modo terribile, ma è il comando della beatitudine. Ogni scontro, ogni difficoltà, ogni inquietudine, grande o piccola, della nostra vita è dovuto al nostro ego che si fa sentire, protesta. Accade proprio a tutti, è la nostra condanna. Accade anche quando si fa del bene, perché si può fare del bene con spirito egocentrico.
C’è un sottile equivoco, perché il bene è bene. Però ci capita di considerare il bene fatto da noi migliore di quello fatto da altri. La reciproca invidia tra chi fa il bene purtroppo è una delle peggiori zizzanie: non riusciamo ad essere neppure in serena comunione tra gruppi ecclesiali che la pensino appena un po’ diverso! Solo i santi riuscivano ad essere a certi livelli. Se non si è vicini a Dio e in tensione di carità, è inevitabile che il bene spesso ci divida. È la cosa più triste che ci possa accadere, la più grossa delusione per Dio e anche il più grosso trionfo del demonio.

Siccome la nostra auto-affermazione è poderosa, l’auto-negazione deve essere radicale. Se Gesù avesse potuto darci un mezzo rimedio e non chiederci di prendere la croce e morirci sopra, l’avrebbe fatto, ma ci ha avvisato che qui la scelta è radicale: o tutto o niente.

Gilda Maggio, Il volto di GesùEducarsi a vivere la kenosi senza paura

La kenosi per noi è essenziale, per Gesù no, però l’ha prodotta in se stesso per poter regalare a noi i suoi sentimenti. Dobbiamo perciò imparare ad avere in noi i sentimenti di Gesù, l’annullato, se vogliamo vivere realmente e creare una società cristiana, altrimenti ci illudiamo di farlo.
È una lezione che la Chiesa deve continuamente imparare, generazione dopo generazione, con tanta umiltà e tanta pazienza. Altrimenti si rimane in un cristianesimo che è inteso come dottrina (la teologia), come culto (la devozione, la liturgia della domenica, le preghiere, la salmodia), come moralità (certe cose non si fanno), ma tutto questo non intacca il nostro ego che continua a gestire i sentimenti, la volontà, la responsabilità, i rapporti...
Tutto può diventare una grande maschera, ecco perché è meglio cominciare dall’essenziale, con Gesù Cristo, esponendo alla kenosi del Signore il nostro ego com’è; fiduciosi nella grazia, sapendo che Gesù ci sostiene, accettando questo programma senza paura, perché Gesù ci tiene per mano in questo suo cammino.

Come accetto di annullarmi, risorgo. E non solo resurrezione dopo la morte, ma quel vivere già con spirito risorto che è proprio un allargare il cuore. Il metodo kenotico infatti non è l’auto-distruzione. Dio è il Dio della vita, è l’amore disceso dal cielo e infuso in noi nello Spirito Santo: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rom 5,5).
L’uomo che vive la kenosi del proprio ego resistente e tenace è in comunione con il Dio che si è annullato. È anche un Dio risorto, ma è risorto dopo l’annullamento. E la Pasqua è la Gloria perché si è annullato.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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