Tre realtà da riconquistare

Pubblicato il 08-03-2015

di Giuseppe Pollano

di Giuseppe Pollano – Dinanzi al dolore e alla condizione del mondo, il nostro cuore non rimane indifferente e accetta la sfida. E questo significa immediatamente un impegno.


Marcello Cerrato, Il germoglio di JesseUna sfida su cui impegnarsi

In cosa consiste questa sfida? Spirito, giustizia e sapienza sono tre valori che ormai il mondo ha rubato a Dio pensando di farle proprie e di essere capace di portarle a perfezione da solo. Tre parole che la Bibbia ci restituisce nella loro divina origine e la sfida nostra è quella di ottenere da Dio, con la nostra preghiera e la nostra vita, che queste parole tornino a scendere sulla storia umana.

Spirito
Sul germoglio che spunterà dal tronco di Jesse (cfr Is 11,1-2), Gesù, si poserà lo Spirito del Signore, spirito di sapienza, intelligenza, spirito di consiglio e fortezza, spirito di conoscenza e timore del Signore.
Nella prima chiesa non c’era pericolo di sbagliarsi: dire spirito voleva semplicemente dire Spirito di Dio. Ormai abbiamo dimenticato che lo spirito è lo Spirito di Dio e che è lo Spirito di Dio che salva l’umanità. Soprattutto, ha smesso di essere una persona ed è diventato una forza impersonale, un sistema di credenze, di riconoscimenti, di accettazione, di apprezzamenti in cui si vive. Basti ricordare che il wolksheist, lo spirito del popolo tedesco, generò il nazismo ed è in nome di quello spirito che accadde ciò che accadde. Viviamo ormai in un’epoca in cui sono cadute le ideologie totalitaristiche. E quelle erano i grandi sistemi sostenuti da un concetto di spirito umano.
Abbiamo bisogno do Spirito di Dio. Dunque è urgente che la Chiesa ottenga con la sua preghiera, e noi vogliamo cooperare, un ritorno del vero spirito.

Giustizia
La seconda parola rubata è giustizia. L’errore umano è stato quello di credere che la giustizia poteva essere fatta dagli uomini. E così abbiamo prodotto delle mostruose ingiustizie che tuttora dominano le relazioni umane.
“Un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza. Nessuno e niente risponde per la sofferenza dei secoli. Nessuno e niente garantisce che il cinismo del potere – sotto qualunque accattivante rivestimento ideologico si presenti – non continui a spadroneggiare nel mondo” (Spe salvi, n. 42).
Non si tratta solo di dittature, ma si tratta di ogni sistema sociale che non guardi più Dio, come se Dio fosse diventato superfluo. Avendo rubato a Dio, che è il giusto, la giustizia che lui ci avrebbe data, e che continua a darci, siamo precipitati in un abisso di ingiustizie che il cuore non può reggere. Eppure è possibile perché è vero.

Sapienza
Quattro secoli fa, un filosofo inglese, Francesco Bacone, al nascere delle prime scienze, in un comprensibile ma troppo ingenuo entusiasmo, esprimeva una mentalità allora corrente: finalmente potevamo possedere il nostro futuro. Ancora Benedetto XVI scrive: “Francesco Bacone e gli aderenti alla corrente di pensiero dell'età moderna a lui ispirata, nel ritenere che l'uomo sarebbe stato redento mediante la scienza, sbagliavano. Con una tale attesa si chiede troppo alla scienza; questa specie di speranza è fallace. La scienza può contribuire molto all'umanizzazione del mondo e dell'umanità. Essa però può anche distruggere l'uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa. D'altra parte, dobbiamo anche constatare che il cristianesimo moderno, di fronte ai successi della scienza nella progressiva strutturazione del mondo, si era in gran parte concentrato soltanto sull'individuo e sulla sua salvezza. Con ciò ha ristretto l'orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente la grandezza del suo compito, anche se resta grande ciò che ha continuato a fare nella formazione dell'uomo e nella cura dei deboli e dei sofferenti. Non è la scienza che redime l'uomo. L'uomo viene redento mediante l'amore”. (Spes salvi, n. 25,26)


Le ragioni dell’impegno

Viviamo senza accorgercene nelle conseguenze di questo triplice furto che continuamente rovina l’umanità. Bisogna reagire in maniera molto vigorosa. Soprattutto riguardo all’intelligenza presuntuosa dell’uomo. Una cosa è dire: noi siamo intelligenti, tutt’altra cosa è dire: gli intelligenti siamo noi, perché si aggiunge, astutamente: quel che so, so, e quel che non so, non me lo chiedo. Si fa presto a dire non me lo chiedo, ma le domande che vengono dal dolore, dalla morte, sono ineludibili. Se non sai cosa rispondere, l’unica scappatoia è non pensarci.
Bisogna reagire con impegno concreto, perché Dio c’è, il suo amore è fedele, è paziente, ci ama e ha compassione delle nostre tragedie umane.
Non si può dunque accettare questa situazione. Troppi cristiani la vedono, si lamentano e poi si danno per vinti. Ma Gesù non ha detto: lamentatevi. Ha detto ben altro, ci ha stimolati ad una azione che supera tutte le azioni umane.


Le modalità dell’impegno

Cosa faremo allora? Ecco alcune cose molto concrete tratte dalla Parola.
Primo: cercare di dare alla preghiera il tono dell’umiltà. “L’hai rivelato ai piccoli”. Stupendo. Non è che davanti a Dio ti devi presentare chissà come. Sei piccolo, rimani piccolo. Il piccolo lo porti in braccio, il piccolo ti attira il cuore, fai tutto per lui, ti intenerisce, dunque quando si prega si cerca di accentuare questo aspetto di umiltà, di piccolezza che chiede, quasi direi di bambino che piange. Davanti a Dio è molto efficace questa preghiera. Fare il piccolo, il bambino che piange davanti a Dio, lo possono proprio fare tutti.
Seconda cosa, accentuare anche fortemente la invocazione personale allo Spirito Santo, appunto perché è persona, come noi, più di noi, dunque è un soggetto vivo che ascolta. Lo Spirito, proprio perché è la persona dell’amore, non ci forzerà mai, non sfonderà mai la porta per entrare. Aspetta che la nostra libertà lo chiami. E quando lo chiama, si precipita. Dunque nella preghiera, diciamo con desiderio: vieni. Vieni. “Veni creator” è il sospiro della chiesa. “Creator”, creatore di bene, creatore di tutto ciò che ci manca.
Terzo, immergersi più che mai nella Parola stessa di Dio, perché Gesù dice che ai “piccoli” rivela tutto, la Trinità santissima e i misteri eterni. L’esperienza insegna che non finiremo mai di capire la Parola. Immergersi nella Parola, lavare la mente nella Parola, mettete il cuore nella Parola, lasciare che la Parola attiri la volontà, trascini, convinca di più riguardo allo Spirito. Anche questo è possibile a tutti, ed è un modo realistico, molto realistico, di far davvero un avvento che fa muovere Dio.
Inoltre aumentare lo slancio di bontà e di amore. A proposito di questo umanesimo di amore e di bontà papa Benedetto nella Spe salvi (n. 38) dice: “la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente.” Tu non hai diritto di dire che sei in rapporto con gli altri, anche se ti vedono e ti applaudono tutti, se non accetti di metterti in rapporto con la sofferenza degli altri. Quanti rapporti falsi, apparenti, che per Dio non esistono! Ed ancora: “Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire, mediante la com-passione”, come quella di Dio, “a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente, è una società crudele e disumana”. È molto forte questa frase, ci impedisce qualsiasi equivoco.

Se chi è lontano dalla sofferenza cerca di non sporcarsene troppo, di non compromettersi troppo, non serviranno le grandi messe se tutto si conclude con la benedizione e non ci si è ricordati che quella messa è stata celebrata in un tessuto sociale che soffre. L’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente e si può sempre fare un po' di più, fare con più cuore le cose che si fanno già, perché anche il bene puoi farlo per raggiungere il cuore dell’altro o soltanto per avere un effetto immediato. Dunque con più cuore si può, e anche con più quantità, qualità.
Questo mi sembra un modo realistico di accettare la sfida affinché lo Spirito torni, la giustizia si faccia con l’amore, la scienza sia umile e illuminata da Dio, consapevoli che gli intelligenti non siamo noi.
Noi accettiamo questa sfida e affidiamo a Maria la tutela di questo nostro serio e sincero impegno, perché la cosa bella che mi pare di percepire al di là delle nostre fragilità è che qui stiamo vivendo un momento serio e un momento sincero e queste sono le due qualità che Dio preferisce nei credenti.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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