La pace è possibile? (2/3)

Pubblicato il 14-02-2015

di Giuseppe Pollano

Giorgia Peroni, PaceGiustizia e amore permettono a situazioni di assenza di guerra di evolversi in pace, senza la quale non c'è possibilità concreta di rispetto e sviluppo della vita umana. L'uomo conosce, per esperienza, la sua incapacità e i suoi fallimenti nei tentativi di costruire la pace con le sue forze. Poiché Dio ha annunciato la pace (cfr Lc 2,15), il suo è il progetto su cui puntare.


Dio: unica condizione per la pace

I due ultimi secoli sono stati una tragica conferma che l'orgogliosa convinzione umana che l’uomo è in grado di fare la pace, in realtà, fa pagare un altissimo prezzo. Dopo la prima guerra mondiale si fece la Società della Nazioni con la grande speranza che non si sarebbe mai più ripetuto quel macello così grande, ma dopo non pochi anni se ne è ripetuto uno molto più grande. L’umiltà dunque ci obbliga a guardare a Dio.
In questa situazione la volontà benevola di Dio (vedi riflessione precedente n.d.r.) non è una delle condizioni richieste per la pace, ma l'unica in grado di realizzarla in mezzo a noi. È soltanto allora che il cuore di pietra, che è dentro di me, diventa un cuore di carne. Allora i non credenti, gli uomini di buona volontà, riescono a fare pace? No, anche se la desiderano onestamente. Dobbiamo lavorare con loro perché possediamo il segreto della pace, abbiamo Gesù Cristo, dobbiamo fare alleanza dei cuori, dobbiamo incoraggiare tutti, stringere tutte le mani, ma nello stesso tempo non coltivare illusioni. Non basta desiderare la pace, bisogna vivere Cristo e i santi ce ne danno continua testimonianza.

Nella misura che l’amore di Dio è nostra esperienza, a poco a poco sentiamo che la nostra vita cambia e l’essere buoni, operare pace, creare addirittura pace diventa un bisogno. Il sentire nel cuore il voler portare pace, il patire vedendo chi non si vuole bene o è in conflitto, diventa uno struggente desiderio di essere capaci di mettere i cuori in pace. Non si tratta di un pio desiderio che qualcuno ha, si tratta dell’autenticità della personalità cristiana.
Se la pace è certamente un progetto di Dio per noi, sicuramente si compie se lo si prende sul serio, perché senza di noi la pace non si crea, non ci sarà un miracolo universale per cui di colpo si diventa tutti buoni. La nostra pace ce la dobbiamo costruire noi con il nostro cuore, con la nostra bontà, con i nostri gesti, con il nostro sentire l’altro con amore.

Siamo chiamati ad andare a costruire pace. È così che si incomincia a farsi cristiani. Noi possiamo avere moltissime convinzioni cristiane, possiamo avere anche molte pratiche cristiane (preghiamo, facciamo penitenze, viviamo dei riti), ma tutto questo non ci fa ancora cristiani. Il vangelo di Gesù va preso molto sul serio: imparate da me e amate come ho amato io.
Cominciamo ad essere veramente cristiani quando il sentimento del Creatore di pace ci trasforma dentro. Abbiamo troppo creduto di essere cristiani rimanendo nello stesso tempo ostili, invidiosi, litigiosi, abbiamo fatto troppe guerre di campanile. Eravamo cristiani, credevamo di esserlo, ci vantavamo delle nostre processioni e litigavamo per uno stendardo messo dietro un altro: questo è orgoglio camuffato da cristianesimo. Invece quando si è docili nel cuore, allora si incomincia a capire Dio, perché Gesù non ha mai litigato per un posto, non ha mai litigato per nulla, è sempre stato colui che dava pace. E la dava, come ha ben chiarito, non come la dà il mondo. Evidentemente c’è una pace mondana, ci sono accordi, istituzioni, trattati, infinite altre possibilità, ma la pace che dà il Signore è tutta un’altra, passa dalla sua croce ed è ricca del suo Spirito.

Ogni uomo che accetta veramente Gesù Cristo diventa infallibilmente operatore di pace quand’anche non se ne accorgesse. Siamo cristiani che stanno accettando Cristo nella misura in cui stiamo vivendo con semplicità da operatori di pace, nella misura in cui dovunque siamo, sentiamo il bisogno irresistibile di creare pace.
Il vivere allo scopo di operare pace è la riprova concreta dell’essere dalla parte di Dio. Scopo, non qualcosa che si fa anche! Se lo scopo della mia vita non è fare nel mondo l’opera di Dio, se vivo non per questo scopo, ma per altri scopi semplici, umani, come non stare troppo male, mettere da parte quattro soldi, avere delle piccole ambizioni, ho sbagliato appartenenza e mi sentirò dire: non ti conosco. Perché non ho affatto creduto che il mio scopo nel mondo era operare pace, era conciliare gli altri, come Gesù, che mi ha riconciliato con il suo sangue. Ho vissuto la mia piccola vita, meschina, considerando alcuni amici e altri meno amici, dando strette di mano e litigando, e chiamavo questa vita cristiana!


In missione di pace

La volontà benevola di Dio non solo infonde pace, ma trasforma la mia vita in missione di pace. Missione è più che scopo. Missione è quando lo scopo ti prende e tu ti ritrovi in quello e ti trovi spaesato se non fai quello. La missione ti consuma la vita, ti prende completamente e ti consegna a Dio e al prossimo. Certo missione è predicare il vangelo, ma non basta, perché si deve operare pace.
Missione di pace non è una bella frase che va accolta solo come un messaggio generale che interessa tutti ma in fondo non tocca da vicino nessuno. Occorre applicarla alla nostra concreta vita vissuta. La tua vita di famiglia – è soprattutto qui il nucleo di prova – è vissuta da te come missione di pace? E con il tuo prossimo? Ci sono infinite strategie e modi, ma se tu hai il cuore buono troverai sempre la strada per lasciare gli altri più in pace di quanto li hai trovati. Sei capace di questa trasformazione del tuo prossimo? Se tu avessi l’abitudine di essere solo capace di discutere, di alzare la voce, devi cambiarla per poter realizzare la tua missione di pace, perché soltanto così tu manifesti la benevolenza di Dio per tutti.
La benevolenza Dio l’ha già manifestata in Cristo, guardalo sulla Croce. Cosa poteva fare di più Dio? È morto senza un lamento, senza una ribellione, con una pace in cuore impressionante al di là dell’agonia con le sue terribili maniere di soffrire. Non è morto con il cuore disperato, ribelle, travolto dalla sua propria tragedia. Lui ha fatto tutto, adesso tocca a te prolungare, nella tua situazione, la benevolenza di Dio.
Oggi la Chiesa è chiamata a questa missione che non ha sempre vissuta, anzi spesso l’ha profondamente tradita prendendo lei stessa la spada. È Dio che giudica, noi non possiamo giudicare né tempi né uomini, ma certo il vangelo è anche stato tradito, certo non siamo stati sempre e dovunque, nel piccolo e nel grande, operatori di pace.

Il Natale ci stimola perché è un richiamo non convenzionale. Dio torna a chiederci di essere come lui perché Cesare Augusto c’è anche oggi, le ingiustizie ci sono anche oggi. Gesù è nato e oggi rinasce nella sua Chiesa e voler vivere o credere di vivere un cristianesimo che non sia creatore di pace è una profonda illusione. Avere la certezza che accettando l’amore di Dio siamo altrettanto benedetti dagli altri, perché quando arriviamo noi un po’ di pace si fa, questo è vangelo. Avere l’umiltà di riconoscere che se non facciamo così dobbiamo rimettere in questione tutta la nostra fede, questo è grazia di Dio.
Pace in terra agli uomini che Dio ama. Lasciamoci dunque interpellare da Gesù su cosa faremo nel piccolo e nel grande.
Sono operatore di pace? Il bilancio di una mia piccola giornata ordinaria mi lascia dentro il grazie di Dio perché ho saputo avere la sua parola, il suo gesto? Di fronte a Dio come rispondo della mia giornata? Signore, ho portato pace, ho detto parole che arrivavano al cuore, ho lasciato consolazione o almeno tentato di lasciarla? È così che mi sono capito, che mi sono interpretato, che mi sono voluto? Se ho lasciato dietro di me anche soltanto la scia di un’indifferenza che ho avuto per qualcuno che si è sentito ignorato da me senza aspettarselo, qualcuno che si è sentito trascurato, non posso andare a dormire tranquillo con questo peso sul cuore. Se incontro quel qualcuno domani mi comporterò come un debitore perché il suo cuore ha patito ed io ho lasciato che patisse, non gli ho fatto niente di male, ma non gli ho fatto il bene che si aspettava da me.
È il segreto di un cristianesimo che non ci lascia in pace, però è bellissimo. Pensiamo come sarebbe il mondo se tutti i cristiani semplicemente assumessero la veste di Cristo e diventassero operatori di pace, avessero l’ideale di prendere sul serio la sua beatitudine e fossero contenti di poter dire con Gesù che hanno operato pace. Gesù è con noi, non possiamo lasciarlo inattivo.
Dovremmo chiedere a Maria di aiutarci a vivere questa missione. Maria ha fatto molto l’esperienza di essere operatrice di pace nelle circostanze più difficili per una creatura – basti pensarla nella sua vita dietro ad un Gesù continuamente e in crescendo odiato sino alla croce – e lei operava pace, lei pregava, lei offriva, lei alla sera di ogni giorno poteva consegnare al Padre celeste un sorriso molto mesto, occhi certamente lacrimevoli, eppure un cuore che continuava a chiedere pace.


tratto da un incontro all’Arsenale della Pace di martedì 18 settembre 2007
testo non rivisto dall'autore

 

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