Significato della croce

Pubblicato il 19-09-2014

di Giuseppe Pollano

Michelangelo Buonarroti, Studio di Cristo sulla croce tra la Vergine e San Giovanni l'Evangelistadi Giuseppe Pollano – Nel vangelo di Matteo ritroviamo una parola del Signore che suona dura e che può avere, per l’estremismo che la caratterizza, un effetto deterrente su di noi: chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me (Mt 10,37-38).
Il Signore ha dette queste parole come un invito, sapendo che correva il rischio di allontanarci. Tuttavia le ha dette perché, altrimenti, non sarebbe stato onesto con se stesso e con noi. Eccoci dunque, da cristiani, a confrontarci con serenità con le parole del vangelo.

Parole come queste sono un invito continuamente provocatorio e mai completamente assimilato. Continuamente, perché non finiremo di capirlo; provocatorio, perché non va a genio alla nostra natura e al nostro modo istintivo di vivere, sebbene siamo credenti e, col battesimo, già inseriti in Gesù. Ma inserirci in lui di fatto avviene attraverso la nostra scelta e allora lasciamoci provocare da questo mai completamente assimilato “chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” che non possiamo scartare, perché non è né un invito opzionale (chi vuol essere bravo può fare così), né un invito secondario (se si vuole, si può fare così). Per essere cristiani si fa così.


I due estremi: il vanto della croce ed essere nemici della croce

Nella storia di tutti i cristiani e quindi anche nella nostra sia come persone singole, sia come comunità, sia come Chiesa, le parole riportate nel vangelo di Matteo oscillano continuamente fra due poli estremi: la totale accettazione e il totale rifiuto.
La totale accettazione è quella che Paolo ha espresso in Gal 6,14 quando, a proposito di se stesso, ha affermato che il suo vanto è la croce, cioè che ne è fiero ed essa è il suo tesoro. L’opposto di questo atteggiamento è evidenziato da Paolo in Fil 3,18-19, dove non esita a definire nemici della croce quei cristiani intenti alle cose della terra e che si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi. Sono le due polarità estreme di un comportamento che sarà mai del tutto definito. Infatti il nostro valore cristiano è nel cercare di tendere alla polarità positiva del vantarsi di Cristo crocifisso, però dobbiamo riconoscere, con umiltà e realismo, che c’è sempre qualcosa in noi che è nemico di Cristo crocifisso.


Le tre interpretazioni della croce: scandalo, stoltezza, potenza e sapienza di Dio

Paolo, ragionando da uno che si vanta della croce e avendo anche dinanzi a sé l’atteggiamento degli ebrei, dei pagani e dei credenti, ci ha dato di fatto le tre chiavi permanenti di interpretazione della croce in 1Cor 1,22-24. Per i giudei la croce è uno scandalo. Per i pagani è semplicemente una stoltezza di cui manco vale la pena discorrere. Per i credenti invece è potenza e sapienza di Dio che si esprime attraverso i credenti, non la potenza e la sapienza dei credenti.

Lo scandalo da parte degli ebrei è legato ad un forte sentimento religioso che, però, non prevede lo scacco e quindi la croce. Se c’era un popolo carico di sentimento religioso e di senso della gloria di Dio era proprio il popolo giudaico che non teneva in nessun conto che Dio potesse essere minimamente sconfitto. È un sentimento di tutti. Anche la Chiesa può essere tentata di scandalizzarsi di Cristo crocifisso se pensa che il suo glorificare Dio deve passare di trionfo in trionfo. Una tentazione che vale anche per noi, se pensiamo che le nostre attività devono passare di trionfo in trionfo o la vita spirituale personale di successo in successo. La gloria di Dio si compie anche nella nostra debolezza, anche nei peccati che ci perdona. Attenzione: allora dobbiamo peccare perché Dio sia glorificato? No, non dobbiamo peccare, perché Dio non se lo merita; ma siccome di fatto siamo fragili e possiamo peccare, c’è proibito scoraggiarci, perché in quella debolezza, irrompendo la paternità di Dio che riabbraccia il figlio (la parabola del padre misericordioso, cfr Lc 15,11-32), si compie la sua gloria, che perciò passa anche attraverso il nostro insuccesso.
Il pensare che il cristiano perché cristiano non possa inciampare mai, è ingenuo, eppure può essere una maniera di pensare la religione ed allora è evidente che l’insuccesso scandalizza, fa peccare di rivolta contro Dio (“queste cose non devono succedere”) e di disperazione (“come facciamo?”). È una sensazione a cui tutti siamo esposti. Quando ci si scoraggia o ci si dà per vinti, personalmente o come gruppo, ogni volta insomma che si pensa che se Dio è onnipotente allora certe cose non dovrebbero accadere, è facile rimanere scandalizzati.
Per i pagani, per coloro che vivono soltanto le cose penultime, cioè quelle di questo mondo, è ovvio che la croce sia semplicemente una stoltezza, da non prendere sul serio: essere umili, poveri, soffrire per gli altri, perdonare sono ritenute follie o quanto meno ingenuità di un sogno. Come cristiani non ragioniamo così, però teniamo anche conto che qualche volta i nostri istinti e le nostre passioni portano a pensare che la croce è una stoltezza, che proprio non la capiamo.
Questa triplice categoria interpretativa è presente in tutti noi, sempre. I santi percepivano la possibilità di scandalizzarsi, avevano fatto tante cose, avevano messo su delle opere straordinarie e a un certo punto tutto sembrava polverizzarsi. Mica facile dire che si riconosce in questo la Gloria di Dio!


Cambiare marcia

Di fronte a queste considerazioni ordinarie sul mistero della croce dobbiamo porci qualche domanda.
Qual è la nostra miscela personale di scandalo, stoltezza, potenza e sapienza di Dio? Fra queste tre maniere di pensare il Cristo in croce è sempre possibile in noi un certa miscela. Ammettendo che l’aspetto predominante sia la convinzione che vale la pena seguire nei fatti, e dunque anche con fatica, Cristo crocifisso, ciò non toglie che ci sia qualche altro aspetto da approfondire.
Dobbiamo rispondere ad una seconda domanda. In quali circostanze, con chi, per non disgustare chi, per non perdere qualcosa, cambiamo marcia rispetto alla croce? In un ambiente favorevole possono non esserci difficoltà, ma con amici influenti, con una persona che si ama, in una situazione in cui non si vuole perdere la faccia, si può cambiare marcia, entrare nella mentalità dello scandalo o addirittura della stoltezza. Nel clima culturale in cui viviamo, credere nella povertà, nella verginità evangelica, nel perdonare chi ci offende, non è facile. Qualche volta affermiamo che ci crediamo e ne siamo contenti, ma qualche altra si accumulano in noi elementi di debolezza. E ogni volta ci rendiamo conto che la tentazione di cambiare marcia c’è.
Per essere cristiani seri, lentamente anche questo mistero ci deve incantare, perché ci avvicina a Gesù, e ogni tanto dobbiamo fare il punto, per verificare se rischiamo di essere deformati, sfasati dalla mentalità corrente.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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