Gli ultimi nella Bibbia (4/5)

Pubblicato il 04-10-2013

di Rinaldo Fabris

di Rinaldo Fabris - La nuova giustizia.

Gianluigi Marzo, Il buon samaritanoGesù si interessa delle persone che non hanno dignità perché questo è lo stile di Dio. Lo stesso vale per tutte le persone che accoglie, con le quali mangia insieme e spartisce il pane della speranza, il pane della libertà. Lo stesso vale per l'immagine dell'uomo aperto alla volontà di Dio. Gesù non sceglie un giudeo laico per farlo protagonista dell'amore nella parabola del buon samaritano: sceglie un odiato straniero, un fuorilegge, un eretico. I due addetti al culto girano al largo dal ferito; uno straniero – e con questa scelta viene mostrato che colui che non ha diritti da difendere è anche aperto all'azione di Dio – si ferma a curare il ferito: Gesù sceglie la figura del samaritano per ridare libertà e dignità a questa persona (cfr. Lc 10,28-37). Gli uomini e le donne privi di ciò che è considerato essenziale per avere dignità e libertà – si può dire con una parola sola felicità – sono i poveri, i clienti di Dio, quelli che Gesù chiama felici e fortunati perché Dio oggi si è fatto vicino a loro, si è accostato come Signore che dona perdono, salute, fiducia, dignità e libertà: questo è il Regno promesso. Se ci si chiede perché Dio si mostra così interessato, così sollecito per la liberta e felicità dei poveri, si trova la risposta già in questa panoramica evangelica: non perché hanno il cuore più aperto, non perché sono più umili e disponibili, ma perché Dio è fatto così.


IL VOLTO DI DIO

La spiegazione migliore si ha in quel racconto splendido e sconvolgente del padre che accoglie il figlio scappato di casa non perché gli ha fatto la confessione, non perché gli ha promesso di non scappare più e si è impegnato a riparare. Il padre lo bacia, lo abbraccia, gli restituisce la dignità (il libretto degli assegni, le chiavi della macchina e dell'appartamento...). Questa è la riabilitazione, che in linguaggio simbolico di allora viene descritta con l'anello, le vesti, i calzari. Il figlio viene ristabilito nella sua piena dignità, e gli viene offerto addirittura un banchetto festivo, simbolo della felicità. Perché tutto questo? Perché un padre non può agire se non in questa maniera. La reazione del benpensante, invece, riflette non solo la mentalità degli ebrei di ieri, ma di quella tendenza al moralismo che crea una immagine di Dio che lo giustifichi.

Un autore ebreo, Joseph Klausener – uno dei pochi che abbia fatto una vita scientifica di Gesù utilizzando i testi evangelici – ha scritto una vita di Gesù. Egli dice che Gesù sostanzialmente è ebreo per il suo modo di parlare, di insegnare… Le novità che lo separano dall'ebraismo sono l'immagine di Dio e l'amore del prossimo che diventa misericordia. Con questa immagine di Dio che dà fiducia ai peccatori, che invita ad amare anche il nemico andando oltre la giustizia, sarebbe impossibile costruire una società e fondare una morale. Ha ragione Klausener. Noi abbiamo dovuto abbandonare questa immagine di Dio per costruire una società cristiana. Joseph Klausener ha espresso questo giudizio: d'istinto il popolo d'Israele ha capito che, se accettava questa immagine di Dio e le conseguenze che derivavano dall'evangelo di Gesù, avrebbe segnato la propria fine. Per questo ha deciso di eliminarlo. L'autore porta a questo punto una bellissima immagine: succede come una madre che ha generato una figlia; quando si è accorta che questa figlia in un abbraccio mortale tentava di soffocarla, ha ucciso la figlia. È il rigetto di Gesù. Qui scopriamo il vero problema dell'immagine di Dio dataci da Gesù, immagine che mette in crisi un sistema religioso. L'ebraismo non è la Bibbia. L'ebraismo, nella sua deformazione farisaica, e non nella sua istanza religiosa profonda, è questa forma perversa dove Dio serve a giustificare la propria prepotenza, la propria onestà, il diritto di considerarsi superiori agli altri perché eletti e scelti da Dio. La novità evangelica, è questa immagine di Dio che sconvolge i rapporti familiari. Perché con questo padre che accoglie lo scapestrato, il fannullone, il diverso, non si riesce a costruire una società dove bisogna essere produttivi, efficienti, dove bisogna che uno sia pagato per quello che rende. L'immagine di Dio che dà Gesù è pericolosa. Aveva ragione Klausener: da buon ebreo aveva capito che venivano messe in crisi sia la morale che la società. Non intendo dire che il vangelo è amorale o immorale: ma ha un'altra morale, quella dell'amore, molto più impegnativa dell'osservare una legge.


LA NUOVA GIUSTIZIA: L'AMORE

Con la morale per la quale ognuno viene riconosciuto per quello che produce e fa – anche in termini religiosi ed etici – è stata costruita la nostra storia di carneficine. Occhio per occhio e dente per dente: questa per noi è la giustizia, il diritto al risarcimento per ogni offesa ricevuta. Questa è la storia di tutte le guerre, quelle piccole e quelle grandi. Se si vuole ritrovare la pace e la felicità si deve rovesciare questo. Beati i poveri non è uno slogan romantico. Dio fa storia cominciando da quest'ultima parte dell'umanità, avendo i poveri come criterio. In questa luce si comprende quella parabola che è contro ogni regola sindacale: la paga di un'intera giornata viene data a chi ha lavorato un'ora sola. Avevano ben diritto di protestare gli altri operai che in questo modo vedevano squalificato il lavoro, incrementato l'assenteismo. La rivelazione finale di Gesù in questo caso allora sarà: “tu sei invidioso perché io sono buono?” (Mt 20,15).
Qual è la giustizia? La parità tra diritti e doveri, o la giustizia che cambia i rapporti e permette anche al misero che non è capace di lavorare – perché è nato malato, perché nato in una cultura che non gli ha permesso di sviluppare le sue qualità creative, perché nato in un altro continente dominato dai signori che hanno avuto fortuna – di avere del diritto di vivere? Ha diritto anche lui di mangiare come gli altri. Ma solo se rovesciamo l'immagine della giustizia fondandola sulla misericordia e l'amore, sulla gratuità, possiamo far questo. “Il tuo occhio è malvagio perché io sono buono?”. Qual è la giustizia? Chi è giusto? Quale è il metro per dire che una cosa è giusta o è sbagliata?
Ecco allora il progetto di nuova comunità e di nuovi rapporti. Non si tratta di definire chi è il povero o chi è Dio. Ma si deve partire dagli ultimi. Chi li ha presi sul serio, è finito male. Gesù è morto in croce, non per un incidente, non per un malinteso: è morto perché è stato coerente con questa scelta che faceva saltare il sistema giudaico e romano. In questo si sono trovati d'accordo Caifa e Ponzio Pilato, l'impero e il santuario. Il santuario condanna a morte Gesù in contumacia, e Ponzio Pilato ha tutto l'interesse a mantenere l'ordine per portare regolarmente i denari alla cassa imperiale. Gesù è pericoloso. Pericoloso non perché insegna il Padre nostro o perché dice le beatitudini, ma perché con le sue scelte e i suoi modi di fare rende presente quest'immagine di Dio che fa ripartire la storia umana dagli ultimi, e si mette a far strada con loro. Qui vengono sconvolti gli equilibri fondati su quella pseudogiustizia, in nome della quale sono stati schiacciati i malati, le donne, i bambini, gli stranieri, i peccatori, e si può aggiungere la trafila della lunga catena di poveri della storia.

da NP, maggio 1984

Vedi tutta la serie

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok