Donne in guerra

Pubblicato il 04-01-2019

di anna

di Maria Alessandra Marcellan - «Invecchiammo di cent'anni e accadde in un'ora soltanto...». I due versi di Anna Achmatova fotografano la cesura dal passato, provocata dalla Grande Guerra: dopo, infatti, nulla fu come prima.

Per le donne, in particolare, perché esse diventarono le nuove protagoniste della vita sociale ed economica dello Stato. Mentre gli uomini erano al fronte, le donne ne presero il posto nelle fabbriche, negli uffici, nei campi, nei boschi, nelle strade; lavorarono nei settori bellici o para-bellici, nelle fabbriche di armi o nello spionaggio o nella propaganda (le “madrine di guerra”) e nell’assistenza ospedaliera.

Una delle pagine più alte fu scritta dalle donne della Croce Rossa. Organizzate da Elena d’Aosta, le Crocerossine italiane si presero cura del corpo e dell’anima dei soldati, in tende e in ospedali dove si potevano incontrare anche il colera, la tigna, la scabbia. I soldati le vedevano come madri, sorelle, confortatrici.

Rosina Ferrario, la prima donna italiana con brevetto di pilota del 1913, si offrì volontaria per pilotare velivoli atti al soccorso dei militari feriti per conto della Croce Rossa, ma fu respinta in quanto donna.

La guerra iniziò il 28 luglio 1914, ma non per l’Italia che rimase neutrale. La maggior parte della popolazione non desiderava il conflitto e molte donne si erano schierate contro la guerra perché questa significava sofferenza, morte, lutto, privazioni. Anna Kuliscioff, Argentina Altobelli – prima donna presidente della Federterra – Lidia Poet, Lina Merlin, la futura senatrice, lottarono perché l’Italia non entrasse nel conflitto. Con loro, le donne del popolo, le contadine e le semplici operaie. La borghesia e la nobiltà, invece, aderirono in buona parte e con convinzione alle ragioni del conflitto; tra queste, la stessa Anna Maria Mozzoni, icona del nascente femminismo.

L’Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915 e la comparsa delle donne in occupazioni tradizionalmente maschili, costituì il “mondo alla rovescia”, che preoccupò l’immaginario collettivo. Quando fu comunicato che le donne avrebbero lavorato nei tram come bigliettaie, ci fu una levata di scudi perbenista, perché erano poste a diretto contatto con gli uomini e solo donne di scarsa levatura morale potevano accettare tali rischi, sebbene l’amministrazione pare che avesse scelto ragazzone robuste dall’aspetto alquanto virile. Alla fine, però, questa novità fu accettata, ma quando una mattina si videro delle donne realmente impegnate a guidare i tram, l’opinione pubblica si scatenò: i tram sarebbero deragliati e si sarebbero contati i morti… Il 1917 fu l’anno più tragico: la guerra stagnava nelle trincee; gli Stati Uniti erano entrati nel conflitto, ma senza un subitaneo beneficio; era scoppiata la Rivoluzione in Russia; la fame e il mercato nero provocavano scontenti e rabbia. Il 22 agosto scoppiarono i “Moti di Torino”, per i problemi economici e le difficili condizioni di lavoro della maggior parte degli operai. Già il 21, quando circa ottanta fornai chiusero per il mancato rifornimento di farina, gruppi di donne avevano manifestato davanti alla Prefettura e al Municipio. Ma dal 22, e per cinque giorni, Torino fu sconvolta dalle rivolte di una popolazione stanca, affamata e impoverita che saccheggiò negozi e forni e si scontrò con le forze dell’ordine: la dimostrazione per il pane divenne lotta politica contro il governo e per la pace. Durante i giorni della rivolta, la folla cantava il ritornello «Prendi il fucile e gettalo (giù) per terra, vogliam la pace, vogliam la pace, mai la guerra!».

Il 1917 fu l’anno più tragico anche per gli internamenti nel manicomio di Torino: le donne ricoverate erano operaie, ma soprattutto contadine che dovevano badare da sole alla campagna e alla famiglia rimasta. Il 3 novembre, dopo la disfatta di Caporetto, giunsero una sessantina di donne provenienti dall’ospedale psichiatrico di Venezia. Erano non solo dementi, ma anche profughe, sfollate, prigioniere di guerra che abitavano le zone del conflitto, in Trentino e in Friuli, un fiume dolente, sradicato dai propri luoghi. Donne e bambine violate – nell’animo, nei beni, nel corpo – da soldati che i superiori non controllavano o che non trattenevano, donne alle quali non venivano risparmiate prove, umiliazioni, sofferenze. Vittime, ammalate… ma rinchiuse in manicomio perché scomode.

Ma ci furono donne che meritarono la Medaglia al Valor Militare, come Maria Plozner Mentil, una delle portatrici carniche, donne che si caricavano nelle gerle viveri e munizioni per portarli ai soldati nelle montagne, dove, forse, neppure i muli arrivavano. Superavano dislivelli dai 600 ai 1200 metri, con una marcia di 2, 3, 4, 5 ore… I costumi della società e delle donne cambiarono in quegli anni. Ma, finita la guerra, tutto tornò come prima. Ci volle un’altra Guerra e la Resistenza e la Repubblica e la Democrazia per riconoscere finalmente alle donne quella parità che la Prima Guerra Mondiale aveva realizzato nei fatti, ma non nei diritti.

FOTO: Paolo Siccardi / WALKABOUT

 


da Sapere

Anna Andreevna Achmatova, pseudonimodi Anna Andreevna Gorenko (1889– 1966), poetessa russa; alcune opere: La sera, Il rosario, Piantaggine, Lo stormo bianco, Il salice, Poema senza eroe, Anno Domini MCMXXI.

Rosina Ferrario (1888 – 1957) pioniera dell'aviazione italiana, insieme ad Achille Landini, nel novembre 1913, in occasione dei festeggiamenti per il centenario della nascita di Giuseppe Verdi, atterra con il suo aereo Caproni C.VII immerso nella nebbia su un campo di mais nei pressi di Busseto.

Maria Plozner Mentil (1884 – 1916) Udinese, con figli piccoli e il marito al fronte sul Carso, aderisce alla richiesta dell'esercito di volontari per il trasporto di rifornimenti dalle retrovie alla prima linea. Muore colpita da un cecchino austriaco il 15 febbraio 1916.

 

Maria Alessandra Marcellan
NPFocus
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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