Anche il linguaggio si adegua

Pubblicato il 20-10-2018

di Chiara Genisio

di Chiara Genisio - Niente più celle ma camere di pernottamento. Sparisce lo scopino e diventa l’addetto alle pulizie. Non più domandine per le richieste all’amministrazione penitenziaria ma moduli di richiesta. Sono solo alcuni esempi di come da ora in poi cambierà il linguaggio dentro carcere.

Lo impone la circolare Ridenominazione corretta di talune figure professionali ed altro in ambito penitenziario, inviata a fine marzo da Santi Consolo, il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a tutti i provveditori regionali, i direttori degli istituti di pena, i direttori generali, la direzione generale e il servizio informatico.

Ogni comunità ha un suo linguaggio e il carcere non sfugge da questo assioma. Spesso i termini usati in questo contesto, però, non sono rispettosi della dignità delle persone detenute.

Una questione che era stata discussa anche durante i lavori degli Stati Generali, in particolare era stata affrontata dal Tavolo 2 coordinato dal magistrato di sorveglianza Marcello Bortolato, che ha commentato la nuova circolare come «un risultato importante, perché non c’è niente di più difficile che sradicare una mentalità».

D’ora in poi la dama di compagnia, cioè il detenuto che trascorre le ore di socialità con un 41 bis che è ristretto in un’area riservata in attesa di essere trasferito in sezione diventa compagno di socialità. Non si potrà più definire piantone il prigioniero incaricato di assistere un compagno con disabilità ma assistente alla persona. Sparisce anche lo spesino che fino adesso indicava il detenuto che raccoglie l’elenco delle spese degli altri suoi colleghi, dovrà essere chiamato addetto alla spesa detenuti. Cancellati pure i portavitto, il portapane, i portapranzi, si chiameranno addetti alla distribuzione dei pasti. Addio ai cucinieri, dovranno essere interpellati come addetti alla cucina. Lavorante non sarà più corretto, giusto definire chi lavora come lavoratore. Così come lo stagnino, dovrà essere interpellato come il suo collega che opera fuori dal carcere: idraulico.

Un adeguamento sollecitato a livello europeo affinché la vita detentiva, spiega Consoli «sia il più possibile simile a quella esterna e questa assimilazione deve comprendere anche il linguaggio».

Di fronte alla gravi carenze del sistema carcerario italiano può far sorridere questo provvedimento, ma come ricorda Bruno Mellano, garante regionale per i detenuti, «cambiare il lessico deve essere la premessa per cambiare le dinamiche del lavoro in carcere. È un bene usare le parole giuste, ma ora ci vuole sostanza nel trovare le opportunità lavorative autentiche». Per rendere l’idea, nella casa circondariale di Torino Lorusso Cotugno su 1400 detenuti solo 300 svolgono piccoli lavori e appena una trentina hanno un normale lavoro retribuito.

Chiara Genisio
SENZA BARRIERE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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