Ricerchiamo il dialogo

Pubblicato il 02-04-2018

di Redazione Sermig

Ascoltarsi, sognare, costruire il bene comune. La riflessione del gesuita Francesco Occhetta all’Università del Dialogo del Sermig.

IL DIALOGO
Cos’è il dialogo? Ce lo dice la parola: è un “logos” che attraverso un “dia”, che in greco significa “tra”, entra nel cuore degli altri. È l’unico strumento che ha anche Dio per poter lavorare nel mondo e creare. Quindi, la prima dimensione del dialogo fa riferimento a qualcosa che crea. Poi, senza dubbio, dialogare è un’arte che richiede prima di tutto l’ascolto e la capacità di ascoltarsi. Dobbiamo iniziare a dialogare con noi stessi e con la nostra coscienza, perché come la coscienza funziona a livello personale, così funziona a livello sociale. Pensiamo alla nostra Costituzione nata da un dialogo pubblico in cui la coscienza formata si è risvegliata dopo l’umiliazione della guerra e si è detta: «Su che cosa dobbiamo scommettere?». La risposta è stata: «Una vita insieme tra diversi». Questo è il punto.

OLTRE LE DIVERSITÀ
Quando dialoghiamo dobbiamo essere attenti a non dividerci tra persone che credono o no, tra persone religiose o no, ma tra persone morali o no. Le persone morali sono quelle che ricercano il bene, costruiscono il bene comune, sanno che la giustizia è faticosa, ma è l’unica dimensione che ci può tenere insieme. Le persone “non morali” per propri interessi escludono questa dimensione e impediscono la costruzione del bene comune. Entriamo così in un terreno di combattimento che è lo stesso che incontriamo anche nella coscienza. Ognuno di noi, a livello personale e sociale, deve rifiutare il male e accogliere il bene. Il discernimento ci permette di setacciare, vagliare, distinguere quelle voci che ci interpellano. Ma sia chiaro: siamo sempre noi a dover capire quali scegliere e farle diventare vita. In che modo possiamo farlo? Una strada è ritrovare luoghi in cui vivere una dimensione di comunione e di comunità, in cui possiamo ascoltarci, coltivare motivazioni profonde, avere chiaro il sogno da realizzare. Solo così possiamo capire concretamente cosa dobbiamo fare.



L’ASCOLTO
Nella vita, diventiamo le parole che ascoltiamo. Noi non bastiamo a noi stessi, abbiamo bisogno di un poeta che ci parli, di un autore che ci riscaldi il cuore, di un viso che ci dica che c’è una parola in più della nostra. Se ci pensiamo, anche Dio parla attraverso la Parola ed entra in noi. Se entriamo in questo stile, non abbiamo bisogno di imporre la nostra parola perché la parola diventa automaticamente uno strumento di mediazione tra posizioni. Ma con una sfumatura in più: non rinunciare ad essere se stessi, perché si è credibili solo se autentici. La trappola è pensare di esser buoni e creduti proprio perché siamo applauditi o siamo noti, ma questa è un’arma a doppio taglio, pericolosa. Noi invece siamo credibili se non siamo falsificabili, se quello che diciamo più o meno poi riusciamo a viverlo, anche nello scarto di debolezza della vita.

IL BENE COMUNE
Il bene comune non è la somma dei beni individuali, ma una moltiplicazione. Quando un fattore vale zero frena tutti gli altri. Proprio per questo dobbiamo sbilanciarci sul futuro perché altrimenti ci facciamo bloccare dalle paure e dal passato. Quindi, la costruzione del bene comune richiede la fondazione di comunità pensanti, che abbiano il coraggio di progettare. A tutti chiedo: «Cosa sognate oggi?». È importantissimo. Il metodo è questo: far nascere quello che si sogna, farlo crescere, nutrirlo, e poi a un certo punto sapere che non è proprio, perché noi siamo custodi dei doni che ci vengono dati. Quindi, affidarlo e lasciarlo andare. Questa è la costruzione del bene comune, questa è la più alta forma di carità nella politica. Questo è il sogno da vivere e custodire perché, come diceva Primo Levi, quello che si dimentica potrebbe ritornare. Per esempio, la guerra. E se penso a un luogo come l’Arsenale, pieno di memoria e di simbolismo, non sento di aggiungere altro.

a cura della redazione unidialogo
foto Renzo Bussio

 

 

 

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