Alzheimer

Pubblicato il 22-11-2017

di Corrado Avagnina

di Corrado Avagnina - La malattia, la solidarietà, la cura.
Non mancano i richiami, di settimana in settimana, su alcune emergenze e su alcuni obiettivi, da assumere come spazi di consapevolezza e di solidarietà. Anche solo perché non prevalga l’indifferenza, rispetto a fatiche, limiti, fragilità, sofferenze… che meritano invece un’attenzione di forte umanità. Così dai banchetti in centro, ai semafori, davanti alle chiese… rimbalzano slogan mirati per farsi carico di una patologia che abbisogna di tanta ricerca, per sostenere rimedi ad una disabilità pesante, per dare speranza a famiglie in cui occorre fronteggiare quotidianamente l’handicap… E poi la solidarietà corre sui telefoni, sugli smartphone, sull’on-line… per campagne molto note cui danno visibilità trasmissioni televisive, big dello spettacolo e dello sport… Insomma c’è un mondo di messaggi che si intrecciano e si rincorrono, senza dare – giustamente – tregua a tutti noi, tentati di pensare ad altro o di non farci caso, o di delegare a chissà chi… Anche se, sotto traccia, emerge talora la vox populi per invocare magari qualche ridimensionamento delle spese militari per investire appunto in ricerca scientifica sulle malattie che si intrufolano tra noi.

Su tutto però, sia permesso sottolinearlo, oggi in tante case sta moltiplicandosi l’affanno, spesso in famiglie piuttosto sole al riguardo, per la presenza ormai diffusa tra gli anziani (e non solo) del morbo di Alzheimer. E c’è anche una Giornata mondiale per sottolineare il dramma di questa patologia. L’Onu l’ha fissata al 21 settembre. Ma giorno dopo giorno queste situazioni sono un cruccio logorante, per tanti versi. Sì, sui mass-media rimbalza ogni tanto un’attenzione preoccupata per questa malattia neurologica degenerativa che colpisce il cervello, provocando progressivamente uno stato di totale dipendenza e di inquietante smarrimento. Le conseguenze che ne derivano, anche di riflesso, per i familiari sono pesanti e talora angoscianti. Si ha l’impressione che la persona vittima di Alzheimer diventi sempre più estranea, irriconoscibile, quasi un’altra identità, spaesata, senza memoria, bisognosa di tutto, non abbandonabile neanche un attimo. E poi non sembra vero che sia ridotta a gesti e svarioni impensabili. Si fa fatica a riconoscervi i contraccolpi della malattia. Pare impossibile, ed invece accade sempre il peggio. E ci si sconforta, ancora di più, stando attorno od al fianco. Gli anziani che presentano varie forme di demenza senile sono saliti ormai a 1,3 milioni, rappresentando il 10% circa dei 13 milioni di ultrasessantenni del nostro Paese. Ed il morbo di Alzheimer è la forma più frequente e più acuta della demenza senile. Con esiti piuttosto segnati.

Non ci sono cure farmacologiche risolutive. Quando si viene colpiti, si peggiora soltanto. E forse si riesce unicamente a rallentare questo declino inesorabile, cercando di supportare una qualità di vita che possa in qualche modo farsi accettabile (anche per i familiari). Già, perché l’80% dei casi di Alzheimer ricadono, per l’assistenza, sui familiari, impegnati in certa misura, a turno, con l’ausilio di persone esterne, a gestire tutta la giornata. Ne consegue non stato debilitante di stress. E poi si profilano costi economici non irrilevanti. C’è da non lasciare sole le famiglie in questi frangenti. Il pubblico non può chiamarsi fuori, ovviamente. E va chiamato in causa. Ma tutti ci si deve un po’ far carico. In una rete solidale da non trascurare.

Corrado Avagnina
QUARTA PAGINA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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