Brussel

Pubblicato il 05-10-2017

di Michelangelo Dotta

di Michelangelo Dotta - Torino, aeroporto di Caselle, partenza prevista fra due ore, in perfetto orario, volo low-cost, destinazione Brussel. Nessun controllo fino agli scanner del bagaglio, non si vedono in giro divise, non si percepisce nessun tipo di tensione. All’interno dell’aeroporto, dopo i varchi del chek-in si respira evidente tra i passeggeri in attesa del volo l’aria di vacanza, rilassatezza totale.

L’Isis, dopo aver perso Mosul e impegnata a difendere le ultime macerie di Raqqa, sembra un paradosso lontano; l’eco delle sue minacce pare essersi smarrito tra le polveri del deserto, rintuzzato nei cunicoli roventi dove i miliziani cercano riparo dai bombardamenti della coalizione. Dalle scalette, dopo l’ultimo controllo delle hostess della compagnia aerea, si scende direttamente sulla pista per raggiungere a piedi il Boeing 737 500 che ci aspetta, nessuna proboscide mobile, nessuna navetta, saliamo incolonnati sotto il solo con il nostro bagaglio a mano. Si vola.

L’aeroporto di arrivo a Brussel è quello di Charleroi, a 50 km dalla città, scalo fatto rinascere dalle piccole ma frequentatissime compagnie private che, anno dopo anno, dissanguano sistematicamente quelle ufficiali, di bandiera. Scendiamo dalla scaletta e a piedi raggiungiamo una struttura spartana, pochi passaggi obbligati in austeri corridoi e siamo fuori, nessun controllo né documenti, né bagagli, nessuna divisa all’orizzonte. All’esterno capiamo il perché: l’intera struttura è impacchettata in recinti concentrici di pannelli e new-jersey di cemento in cui si muovono solo le persone, chi arriva e chi parte, non un’auto, non un bus, nessun mezzo può avvicinarsi alle scalo. Il rischio autobomba o camion precipitato sulla folla è scongiurato. Dopo una gimcana tra le barriere raggiungiamo la navetta per la città, un’ora e più di viaggio, 68 euro andata e ritorno, il costo più contenuto per questo tragitto… qui i servizi sono puntuali, ma si pagano.

Albergo in pieno centro, una scelta che si ripaga sempre, scendiamo e siamo sulla Grand Place, finalmente sgombra dai lavori di restauro dei palazzi. Passeggiata di rito occhi all’insù, finestrone gotiche, tetti spioventi, pennacchi e fregi d’oro lucente; tra la folla neanche un poliziotto, nessun mezzo militare, in tre giorni di permanenza in città incrociamo una volta due paracadutisti in armi. Tutte le vie e viuzze che convergono verso il centro però sono sbarrate a qualsiasi mezzo. Si prosegue solo a piedi. Rispetto all’ultima visita di quattro anni fa è cresciuta in maniera vistosa la presenza di famiglie musulmane a passeggio, moltissime donne velate con i figli al seguito, gli uomini distaccati che parlottano tra di loro, una folla nella folla che quasi ostenta la sua orgogliosa diversità.

In una città simbolo per gli attacchi firmati Isis, crocevia di terroristi pronti a colpire, base strategica e logistica nel cuore dell’Europa, mi sarei aspettato l’esatto contrario, pochi musulmani e tante misure di sicurezza, pochi veli e tante uniformi… ma forse la strategia dell’Occidente è cambiata, meno esibizionismo di muscoli e più intelligence, finalmente. Prossima tappa Budapest.

Michelangelo Dotta
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Rubrica di NUOVO PROGETTO

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