Una società da rifare

Pubblicato il 31-01-2017

di Corrado Avagnina

di Corrado Avagnina - Viviamo in un Paese diseguale, nonostante analisi e rappresentazioni.

Forse non dobbiamo aspettare i dati dell’Istat per accorgerci delle tante vittime della crisi e di altre disavventure. Si sfonda una porta aperta, su queste pagine, che anche riflettono l’esperienza di decenni, condotta avanti dal Sermig nell’Arsenale della pace a Torino, alle prese, ogni giorno, con i volti della povertà incarnata e tormentata, nelle pieghe di un’umanità che non ha ribalte o molte altre attenzioni.

Ma questo dato si ricollega a quanto si verifica in punti sensibili che esistono, funzionano, magari faticano, ma sono cercati e sono conosciuti, ovviamente dai più poveri. Basta entrare, in qualsiasi mattina (in inverno soprattutto) in uno dei tantissimi centri di ascolto di Caritas e dintorni, per scoprire code di persone provate, escluse, emarginate… magari anche con ombre addosso di un passato da decifrare, ma segnate da un presente da affanno. Persino al giornale – ambiente in cui chi scrive passa molto tempo – non c’è giorno che non giunga una telefonata disperata o non suoni il campanello per sentirsi chiedere un aiuto. E allora forse non dobbiamo aspettare i dati dell’Istat per accorgerci delle tante vittime della crisi e di altre disavventure, finiti come sono ai margini, preda di quella che è ormai una precarietà nostrana spesso mimetizzata ma reale. Per fortuna che alle spalle c’è questa rete di protezione di chi dà una mano, si fa carico, non lascia soli, si sporca le mani stando accanto.

L’Italia quotidiana che tribola c’è, nonostante altre rappresentazioni. Prendiamo pure a riferimento le rilevazioni dell’Istat: un cittadino su quattro – dice l’Istituto di statistica – patisce esclusione sociale; il 28,7% della popolazione (pari a 17 milioni e mezzo di persone) compone una fascia in cui si trova chi vive sotto la soglia minima di reddito, chi lavora solo pochi giorni all’anno e chi non riesce a far fronte a spese considerate essenziali. Insomma un quadro non incoraggiante. Se poi si aggiunge una risultanza sui dati della ricchezza, ci si accorge di vivere in un Paese troppo diseguale.

Infatti dice ancora l’Istat che il 20% delle famiglie più ricche si accaparra il 39,3% dei redditi totali; invece il 20% della fascia più povera dei nuclei familiari si aggiudica appena il 6,7% dei redditi nel loro complesso. Rovesciando un po’ i parametri, equivale a dire che le famiglie che stanno bene o benissimo spuntano un reddito che è di 5,9 volte superiore a quello delle famiglie meno abbienti. Eppure si ha tutti la stessa dignità, si ha tutti la stessa bocca da sfamare, si è tutti bisognosi di una casa riscaldata, di un’assistenza sanitaria adeguata… C’è qualcosa di grosso che non funziona. La politica, l’economia, la finanza… sono chiamate in causa. Ma anche le coscienze di tutti, indistintamente, vanno smosse: se la nostra società crea e contiene così tanti scarti… di persone ai margini, è da rifare un po’ daccapo.

Corrado Avagnina
quartapagina
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok