Una sfida per tutti

Pubblicato il 04-10-2016

di stefano

di Stefano Caredda - Come è finita, purtroppo, l’abbiamo saputo tutti. Una morte difficile da comprendere, con un’aggressione violenta e una storia giudiziaria ancora tutta da scrivere, che durerà mesi e che stabilirà le precise responsabilità penali. Un fatto, quello di Fermo, che ha attratto l’attenzione del Paese e chiuso per sempre la vita insieme di Emmanuel Chidi Namdi e di Chinyery, lui 36 anni, lei 24, entrambi nigeriani. Una vita di sofferenze in giro per il mondo, poi l’approdo in Italia, l’accoglienza, la serenità, anche la festa.

Emmanuel e Chinyery si conoscono in Nigeria. Si vogliono bene, inizia la loro storia d’amore. Che subito deve fare i conti con la violenza. Loro sono cristiani. Entrambi vengono da famiglie cristiane. E sono degli obiettivi per i terroristi di Boko Haram, l’organizzazione che agisce, dispensando morte, proprio nella loro terra. I genitori vengono uccisi in un attacco ad una chiesa, la prospettiva – per loro che si salvano – è comunque poco rosea. Decidono di andar via, di provare a mettersi alle spalle tanta sofferenza. Si appoggiano l’un l’altro, si aiutano l’un l’altra, spinti dal desiderio di vivere sereni. Il viaggio è un’avventura, terribilmente complicata.

Attraversano il deserto africano, attraversano il Niger e poi la Libia: migliaia di chilometri con nuovi soprusi e nuove violenze. Chinyery è incinta, e proprio per le terribili condizioni di vita patite, per le vessazioni e violenze subite dai trafficanti, perde il figlio che ha in grembo. Un lutto grande, che precede la loro traversata del Mediterraneo. Su un barcone. È il settembre 2015. Arrivano in Sicilia, da qui vengono trasferiti nelle Marche, a Fermo, in una struttura di accoglienza gestita dalla Fondazione Caritas in Veritate, guidata da don Vinicio Albanesi, il presidente della vicina Comunità di Capodarco. Materialmente, trovano spazio in un’ala del seminario Arcivescovile: una struttura che il vescovo locale concede di buon grado e dove i nuovi arrivati vengono curati dalle Piccole Sorelle Jesus Caritas e dai volontari di Croce Rossa.

“Emmanuel era sempre sorridente, pieno d’entusiasmo e di progetti per il futuro”, racconta il sacerdote. “Sognava un lavoro, una casa e soprattutto il permesso di soggiorno per restare in Italia. Aveva imparato da subito l’italiano che parlava abbastanza bene, mentre la compagna stentava di più e usava soprattutto l’inglese”. Si vogliono bene, i due. Vorrebbero sposarsi, ma non hanno documenti: farlo è impossibile. Don Vinicio rispolvera dagli scaffali, appositamente per loro, il rito della promessa di matrimonio, antica consuetudine oggi andata sostanzialmente perduta. E, nella chiesa del paese, con la sposa vestita di bianco e lo sposo orgoglioso e sorridente, celebra quello che formalmente non è affatto un matrimonio giuridicamente valido ma che per i diretti interessati, Emmanuel e Chinyery, ha esattamente e precisamente quel significato. È il gennaio 2016.

È un giorno di festa grandioso, che coinvolge i volontari, gli altri migranti, tutti coloro che li avevano conosciuti. Lo scambio degli anelli aveva consacrato un legame che era stato capace di resistere alle bombe e alle violenza. E aprivano le porte alla speranza, ai desideri di una coppia felice: il lavoro, dei figli. Ora che Emmanuel non c’è più, Chinyery è rimasta sola. Disperata. Non ha nessun altro, se non, appunto, le persone che si erano prese cura di loro due. Subito dopo la morte di Emmanuel le è stata accettata la richiesta – che aveva inoltrato a maggio – di protezione internazionale. “Non la lasceremo sola”, ripetono tutti coloro che la vedono piangere e disperarsi. Prendersi cura di questa giovane ragazza diventa una sfida per tutti. Per una comunità, per una città, per una regione, per una nazione intera.







Rubrica di NUOVO PROGETTO

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