Polvere rossa

Pubblicato il 07-07-2016

di Maria Pia Bonanate

di Maria Pia Bonanate - C’è un angolo d’Africa, in Kenya, dove il cielo e la terra si saldano insieme. In quell’angolo, prossimo all’equatore, c’è un ospedale che cura migliaia di persone ed è diventato "una piccola città della gioia e dell’amore". C’è un medico che da diciotto anni, giorno dopo giorno, anche di notte, dedica tutto se stesso, fino allo sfinimento estremo, al servizio dei suoi ammalati in ciascuno dei quali ravvisa il volto di Cristo.

L’ospedale è quello di Chaaria, quattrocento chilometri a nord di Nairobi, il medico è Beppe Gaido della comunità dei Fratelli di San Giuseppe Cottolengo. Tutto e tutti sono avvolti da una polvere rossa che quasi non lascia respirare, a volte diventa una nebbia fittissima. Arriva dalla terra, dai campi, dove i contadini lottano per strappare alla siccità i raccolti che garantiscono la sopravvivenza. S’insinua fra la pelle e gli abiti delle persone che camminano, nelle strade per ore e ore, s’impasta con i loro capelli, penetra ovunque, si deposita su ogni superficie. È diventata il simbolo di una condizione umana, di un popolo, di un’epopea meravigliosa.

Per questo con Beppe Gaido, abbiamo voluto intitolare Polvere rossa (ed. San Paolo) il libro che abbiamo scritto insieme e che si occupa di quell’ospedale e fa seguito al precedente A un passo dal cuore.

Sullo sfondo di paesaggi che incantano per la loro eccezionale bellezza, di cieli sconfinati che si colorano di albe e di tramonti mozzafiato, di profumi che stordiscono per la loro intensità, fratel Beppe parla della gente che è diventata la sua grande famiglia: gli ammalati, i poveri, gli abbandonati da tutti. Racconta le lunghe giornate e le tante notti che trascorre con loro, in sala operatoria, nei reparti sempre affollati con anche due persone per letto, negli ambulatori dove arrivano da tutta la regione, e oltre, migliaia di persone. In primo piano le donne, meravigliose donne d’Africa, che portano sulle spalle tutto il peso delle loro famiglie, che dopo ogni incidente di percorso si risollevano con dignità e coraggio indomito; i bambini, tantissimi, con la loro freschezza ed innocenza.

Affiorano nel racconto i grandi problemi dell’Africa, da quello della guerra e della violenza a quello della fame, della povertà estrema, della malaria e dell’Aids. Ma emerge anche la forza vitale, la solidarietà, i valori umani e religiosi, la voglia di futuro di un popolo giovane dal quale l’Europa e il nostro Paese possono trarre vigore e fantasia. Anche perché molte situazioni di cui si parla richiamano, pur in contesti diversi, quelle che viviamo nel Nord del mondo e in Italia.

Fratel Beppe ne fa il tema delle sue riflessioni, mai astratte, ma incarnate nelle vicende delle persone che incontra a Chaaria. Ragazze con nomi dolcissimi Lucy, Galdys, Doris, Elosy, Kendi, Lilian, sfortunate vittime della violenza maschile o della povertà estrema, mamme che inseguono, con eroica tenacia, maternità negate, bambini che sono restituiti alla vita e quelli che lo stesso fratel Beppe deve seppellire di persona nella sua "Spoon River". Nella sua esistenza di medico, vissuta come una vocazione, si alternano momenti difficili e spesso drammatici, quando non ce la fa a salvare l’ammalato, con momenti di gioia commossa, quando riesce a far nascere, nonostante drammatiche premesse, un neonato, a ricucire una donna ridotta a pezzi dal machete di un marito violento.

Una felicità pervade tutte le pagine del libro e contamina lo stesso lettore. È diversa dall’allegria, come spiega lo stesso fratel Beppe: "La trovi nella condivisione totale, nella dedizione senza riserve agli ultimi e a coloro che soffrono. È una sensazione profonda e vasta, difficile da descrivere, una sensazione di pace interiore che ti fa sentire pienamente realizzato, parte dell’umanità che hai incontrato".

Il microcosmo di Chaaria, un incrocio di migliaia di destini, è il grande protagonista di Polvere rossa, "un’epopea degli ultimi", dei "senza voce", dei dimenticati dalla storia ufficiale, che lottano ogni giorno per la sopravvivenza. Accanto a loro il muzungo, il medico bianco, combatte con pochi mezzi e poche medicine contro malattie impossibili, ma che fino all’ultimo cerca di affrontare in una drammatica sfida contro il tempo.

Un uomo e un medico che conclude il suo libro con queste parole che ne esprimono l’anima più profonda e autentica: "Il bisogno della gente, il loro grido di aiuto, sono diventati un salutare pugno nello stomaco ed un continuo stimolo all’azione: ci siamo impegnati, abbiamo studiato, ci siamo formati ed attrezzati in modo da dare risposte sempre più qualificate a chi si rivolgeva a noi. La morte, i bisogni disattesi, la richiesta di aiuto si sono trasformati in energia positiva che ha dato vita all’ospedale. E che ogni giorno mi rigenera e mi apre alla speranza di un futuro sempre di più al servizio degli ultimi".

 

 

 

 

Rubrica di Nuovo Progetto

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