Se fossi io

Pubblicato il 05-07-2016

di Marco Grossetti

di Marco Grossetti - A Moncalieri (TO) c’è una casa aperta per amore 24 ore su 24 da più di 10 anni, rifugio per tante donne rimaste senza nessuno. Opera di misericordia spirituale e corporale.

DISTANZA

Rimanere senza casa. Perdere il posto sicuro, protetto e fermo da cui guardare fuori e dove tornare la sera quando arrivano il freddo e il buio, non poter disporre dello spazio inviolabile, segreto, unicamente tuo, dove non importa quanto altrove tutto possa essere brutto, triste, difficile. Lì sei al sicuro e nessuno può farti male, nessuno ti giudica per il tuo ruolo, il tuo vestito, il tuo comportamento. Dove tu esisti e tu sei. Incondizionatamente. Dove ti vogliono bene gratis, non te lo devi guadagnare. Non avere nessuno da ritrovare la sera a cui raccontare le cose belle appena successe o per cui preoccuparti se non arriva, perdere il senso delle parole normali che rendono la vita speciale: “buongiorno, fai attenzione, non fare tardi, buonanotte”. Non avere più voglia di dirle. Non avere proprio più voglia di dire niente. Sentirsi indifesi, poveri, soli, vuoti, perché dopo che il lupo cattivo ha fatto cadere con un soffio la sua casa costruita con la paglia, qualsiasi primo porcellino correrebbe dal suo fratellino amico del cuore a cercare riparo, non pensando mai di poter trovare una porta sbarrata. E quando rimani solo in compagnia del lupo affamato che ti vuole divorare in un solo boccone, e nessuno, nessuno, fa niente per toglierti di lì, forse tutto e tutti diventano inesorabilmente un po’ più lontani. Aumenta la distanza. Verso la parte migliore di te che senti rompersi, spegnersi, sparire. Verso gli altri che sembrano un po’ cattivi anche solo perché una casa continuano ad averla. Quanto deve fare male tutto questo, noi non possiamo neanche immaginarlo. Semplicemente noi non possiamo sapere.

PALLINA

Floriana è una signora moldava che ad un certo punto ha iniziato a stare male, tanto male: un cancro al polmone le ha fatto perdere in un colpo solo salute, posto di lavoro e alloggio presso la signora da cui faceva la badante. Per mesi il letto di ospedale dove nessuno andava a trovarla è stata una fortuna inattesa, per lei che proprio non avrebbe saputo dove altro riposare. Quando ha iniziato a stare meglio, ha trovato ospitalità a pagamento da un’amica, dormendo nella sua cucina. Poi è arrivato l’inverno ma i termosifoni non si sono accesi, perché l’amministratore del condominio stava ancora aspettando il saldo delle bollette dell’anno precedente: una situazione insostenibile per lei, la sua malattia, le cure durissime a cui era ancora costretta per combattere il male che continuava a viverle dentro. Floriana è stata rimbalzata per mesi da un posto all’altro come una pallina da ping-pong: usciva dall’ospedale sfinita, dovendo ancora correre per tutta la città a cercare un posto dove poter poggiare il capo, senza trovarlo mai.

DESIDERIO

La casa di Moncalieri è nata dal desiderio di tante persone buone che non potevano lasciar credere a persone come Floriana di essere circondate soltanto da persone cattive. Accoglie donne sole o con bambini, malate in fase terminale, signore e signorine che scappano dallo sfruttamento, dai maltrattamenti, dalla cattiveria di qualcuno che ha fatto loro male, facendo diventare tutto un po’ più lontano e un po’ più distante. La Caritas ha garantito la copertura economica per avviare il progetto e far restare senza fiato il lupo cattivo, il Cottolengo ha messo a disposizione la struttura perché potesse diventare casa, il Sermig ha trovato le persone che l’avrebbero abitata. È aperta da oltre 10 anni, 24 ore su 24, grazie a tante persone normali che si alternano regolarmente ogni giorno per poche ore, lasciando a chi arriva dopo di loro il compito di rendere tutto sicuro, fermo, calmo, protetto, di continuare a produrre ossigeno, accorciare la distanza, creare casa, essere famiglia. Lo fanno tutte gratis e sanno benissimo perché lo fanno. Ogni volta che ci passa qualche ora, Maria si chiede semplicemente: come posso non farlo? Come posso non avere un attimo da dedicare a queste persone?

CONTAGIO

Lei ha iniziato grazie ad un’amica che le ha regalato un libro, La gioia di rispondere sì. Aveva il desiderio da una vita di fare qualcosa per gli altri, attraverso quel libro ha capito come fare, riuscendo piano piano a coinvolgere anche suo marito Arturo. Perché ci sono desideri che sono contagiosi. Prima di aprire la porta, Maria si fa sempre una domanda: e se fossi io? Quale faccia vorrei trovare? Quale parola vorrei sentire? Maria dice che queste donne devono avere una forza incredibile per resistere a tutto il male che hanno ricevuto e alla fatica fisica e psicologica che la loro vita richiede. Ogni volta che apre la porta e trova tristezza, paura, rabbia o disgusto, sa che quella donna ha tutte le ragioni del mondo per sentirsi così e per non fidarsi del suo sorriso. Una delle prime ragazze che ha incontrato, Joy, aveva in cameretta una barbie di colore in mezzo a due barbie bionde e una brutta malattia, contagiosa come i desideri. Un giorno l’ha sfidata porgendole il suo stesso bicchiere di coca cola. Adesso bevi. Maria dice che per lei è diventata come una figlia. Vede tante donne arrivare tristissime e cambiare grazie al bene incondizionato e disinteressato che altre donne vogliono loro. Gratis, proprio come in una famiglia. Lei sa di essere la prima ospite di questa casa, chiamata semplicemente ad abitarla per qualche ora con amore, delicatezza, gentilezza, attenzione, per produrre ossigeno, accorciare la distanza, creare casa, essere famiglia.

INCUBATRICE

Anche mariti, figli e nipoti di tante volontarie si sono fatti contagiare da questo desiderio di bene. In fondo ognuna di quelle donne potrebbe essere loro madre, loro sorella, loro figlia. A Moncalieri Floriana ha trovato la pace per guardarsi dentro, volersi bene, prendersi cura di se stessa: ha ottenuto un’invalidità che le dà un reddito minimo ogni mese, ritrovato sua figlia che è arrivata dalla Moldavia apposta per starle accanto. Ora abitano con una decina di altre donne in un luogo sospeso, fuori dal tempo e fuori dallo spazio, dove possono curare botte, ferite e guai per fare succedere tutto il bene della loro vita che è rimasto ancora incompiuto. Come stare dentro un’incubatrice dove ci sono la temperatura, il nutrimento, l’aria, l’affetto, la fiducia, perché la distanza possa diminuire e tutti, attorno, smettano di essere per forza cattivi. Perché in principio anche loro erano state pensate come delle donne belle, forti, buone, felici. E allora possono ancora esserlo, ritrovando dentro la forza per mettersi in cerca di paglia, legna, mattoni e amici con cui costruire una casa che non cada al primo soffio di vento o di lupo. Intanto arriva Arturo con la cena: è il momento del buon appetito, come in qualsiasi casa. Qui “buongiorno, fai attenzione, non fare tardi, buonanotte” e tutte le altre parole normali che rendono la vita speciale si possono dire di nuovo. Qui ti vogliono bene gratis, non te lo devi guadagnare. E scusate se è poco.

Foto: Renata Busettini



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