La comunicazione verbale, non verbale e paraverbale nei colloqui di lavoro

Pubblicato il 10-12-2015

di Elisa D’Adamo

di Elisa d’Adamo - Gli esseri umani comunicano attraverso tre differenti canali:
 quello verbale, costituito da parole e contenuto, incide per il 7%
 quello paraverbale, costituito dal tono di voce e dal ritmo delle parole, incide per il 38%
 ed infine quello non verbale, costituito da gestualità, postura, mimica, prossemica, incide per ben il 55% .

È importante sapere che in una comunicazione, il linguaggio verbale influisce per una percentuale molto bassa. Ciò significa che, durante un colloquio, non contano soltanto le parole, ma anche e soprattutto l’uso di gesti, voce, pause, sguardo e abbigliamento che riescono a rivelare molto della personalità del candidato. Le scienze che si occupano del linguaggio del corpo sono: la cinesica (dal greco, kìnesis), che studia le comunicazioni mimiche che supportano o determinano un fatto linguistico e la prossemica (termine coniato sulla base della matrice greca sèma, cioè segno), che si occupa dell’uso che l’uomo fa dello spazio, delle distanze che frappone tra sé e gli altri e della postura assunta dal suo corpo nella comunicazione interpersonale.

Innanzitutto, per avere successo durante un colloquio, è importante dimostrare comportamenti di elevata immediatezza, che manifestano naturalezza e spontaneità del soggetto. Sono considerati tali un costante contatto visivo, un’espressione conciliante, una postura attenta e un orientamento del corpo diretto verso il proprio interlocutore.

La stretta di mano è il primo contatto fisico tra candidato e selezionatore: deve essere ferma e sicura, meglio se accompagnata da un sorriso caldo e cordiale. Energica sì, ma attenzione a non esagerare altrimenti si rischia di dare un’immagine aggressiva di sé. Evitare anche le strette di mano troppo molli, indice di insicurezza e fragilità.

Per quanto riguarda la postura: se si è in piedi e si tengono le mani in tasca, l’atteggiamento indica troppa rilassatezza; se si tiene la testa china e le braccia sono conserte, si manda un messaggio di chiusura, difesa e distanza. Tenere le braccia dietro la schiena è spia, in genere, di un atteggiamento di sottomissione ed inferiorità; il mento alto, la schiena arcuata all’indietro e le gambe leggermente divaricate indicano invece superiorità. Le mani appoggiate sui fianchi rivelano, poi, un atteggiamento di sfida. Se si è seduti: con il busto chinato in avanti, si comunica interesse ma anche un po’ di aggressività; se il busto è ben eretto, si invia un segnale di apertura e fierezza; se il busto è sbilanciato all’indietro, è indice di presunzione o rilassatezza. Si consiglia quindi di assumere una postura eretta, ma rilassata, con le mani appoggiate sulle gambe. All’inizio potrà sembrare innaturale perché le nostre emozioni ci spingeranno a muoverci, ma mantenendo questa posizione, la tensione si allenterà.

Dai risultati di varie ricerche, emerge che un’appropriata frequenza dei movimenti della testa (per esempio annuire per confermare qualcosa), adeguati movimenti delle mani, una postura aperta e rilassata, sono indizi non verbali positivi, che potrebbero portare al successo del colloquio. Per contro, movimenti della testa quasi assenti, una gestualità nervosa, un’espressione del viso neutra e un atteggiamento rigido, chiuso e sulla difensiva possono influire negativamente nella valutazione del soggetto. Nel corso della conversazione, molti sono i segnali che vengono trasmessi, anche inconsapevolmente con gli occhi. Battere frequentemente le ciglia, ad esempio, comunica paura e nervosismo; evitare di incontrare lo sguardo dell’interlocutore è un palese segno di disagio ed imbarazzo; al contrario guardare dritto negli occhi la persona che ci parla dà l’impressione di avere competenza nella materia oggetto del colloquio e sicurezza nelle proprie capacità.

Tra gli avvertimenti più comuni riportiamo i seguenti: non tenere i piedi appoggiati alle gambe della sedia, è segno di insicurezza; non tenere le braccia incrociate o le gambe accavallate, sono entrambi atteggiamenti di chiusura; non toccarsi continuamente i capelli o il vestito, sono espressione di disagio o fastidio.

Durante l’intero svolgimento del colloquio, molto importante è anche la gestione della prossemica, cioè della distanza che poniamo tra noi e gli altri. A riguardo ricordiamo brevemente le principali situazioni comunicative e comportamentali:
- da 0 a 45 cm si parla di distanza intima, ed è quella tenuta dagli innamorati, dagli amici molto stretti o dai membri di una famiglia. Si tratta dunque di una vicinanza fisica e psicologica, che permette di percepire il calore, l’odore della pelle, il respiro dell’altro; le stesse cose che, tra due persone non intime, potrebbero suscitare disagio o disgusto;
- dai 45 ai 75 cm, si parla di distanza personale e si stabilisce, per esempio, quando si parla con un amico, o si chiacchiera con qualcuno ad una festa.
- dai 75 cm ai 120 cm, siamo nell'ambito di una distanza personale orientata alla lontananza, dove il limite dei 75 cm rappresenta approssimativamente la distanza dalla quale è ancora possibile allungare un braccio ed entrare in contatto corporeo con qualcuno. Si tratta dunque di un confine che può essere varcato o meno a seconda della circostanza e della persona a cui ci rapportiamo.
- dal metro e 20 cm ai 3 metri e mezzo, si parla di distanza sociale, che caratterizza i rapporti professionali, pubblici e i colloqui di lavoro.
- oltre i 3 metri e mezzo, parliamo di distanza pubblica, cioè quella tenuta da un relatore durante un convegno o una lezione universitaria. In questi casi in genere la distanza indica la superiorità di colui che parla rispetto alla massa indistinta degli ascoltatori.

Dopo aver analizzato la tematica del linguaggio verbale e non verbale, passiamo ora al linguaggio paraverbale, cioè alla modalità con cui usiamo la voce. Si tratta, per lo più, di un atteggiamento dettato dall’inconscio e si manifesta con il tono e il ritmo delle parole.
Il tono e il volume della voce sono facili indicatori della nostra personalità: i timidi parlano spesso con voce sorda, strozzata e sottile. Le persone dominanti e intraprendenti hanno invece una voce più tonante del comune e parlano in modo abbastanza accelerato. Durante il colloquio di lavoro, per mantenere l’attenzione dell’interlocutore è bene assumere un tono adeguato: né troppo alto, né troppo basso, evitando una voce monotona che risulta piatta e noiosa. È consigliabile cambiare leggermente tono della voce in base all’importanza degli argomenti trattati ed utilizzare le pause per rafforzare i concetti chiave. L’obiettivo del candidato è quello di mantenere costante il livello di attenzione dell’interlocutore in una conversazione lineare, priva di silenzi. Assumere un atteggiamento calmo e controllare la respirazione possono essere accorgimenti preziosi per colloquiare in maniera pacata, cercando di essere il più possibile comunicativi ed espressivi, scegliendo accuratamente le parole e pronunciandole con chiarezza. Un altro suggerimento è quello di evitare di schiarirsi spesso la voce, tossicchiare o sospirare, perché sono considerati gesti carichi di disagio e nervosismo.

Per concludere, due parole sull'abbigliamento: semplicità e professionalità. Adattare il proprio stile a quello dell’azienda e, per le donne, ridurre al minimo gli accessori e il trucco. Ricordarsi di portare sempre con sé una copia del proprio curriculum vitae e tutto il materiale che può essere utile durante il colloquio (pubblicazioni, tesi…).

Questi sono alcuni dei consigli e degli accorgimenti più comuni e attuali, tocca poi alla singola persona mescolare elementi formali e informali, competenze specifiche e sensibilità personale, regole teoriche e intuizioni spontanee per gestire al meglio il proprio colloquio di lavoro.


[1° parte] - [2° parte]

Elisa d’Adamo

 

 

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