Terre perdute?

Pubblicato il 23-10-2013

di Matteo Spicuglia

di Matteo Spicuglia - La storia di Melki Toprak e della sua famiglia è una storia di fuga da manuale. Una famiglia cristiana di Tur Abdin, patria millenaria degli aramei. È la più antica minoranza del Medio Oriente, l’ultima a parlare ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Vive da sempre al confine tra Siria e Turchia, una zona calda già nel dopo guerra per i contrasti tra il governo di Ankara e i curdi. La famiglia di Melki ha lasciato come molti altri case e terre. Prima la tappa a Istanbul, poi negli anni ‘70 un permesso di lavoro e lo status di rifugiati per una nuova vita in Svizzera. Oggi Melki ha 50 anni, i suoi figli sono nati a Locarno: la terra di origine non si dimentica, ma purtroppo è rimasta solo nella testa e nel cuore. Se agli inizi del secolo a Tur Abdin, gli aramei erano 500mila, oggi non superano i 2.500. La patria è a tutti gli effetti una terra perduta. È anche per questo che Melki si commuove quando pensa agli aramei di Siria e in generale ai cristiani del Medio Oriente. Sa che la politica segue il suo corso, che ogni epoca ha le sue rivoluzioni, ma c’è un dato di fatto difficile da digerire: la condizione delle minoranze, sempre più difficile, soprattutto nelle fasi di transizione. “La Siria non ha mai avuto un problema di conflitto religioso, – racconta Melki – c’era libertà di culto, i diversi gruppi convivevano pacificamente”. 


Oggi non è più così. La guerra si è portata via ogni cosa, lasciando solo morte e distruzione. Colpa delle bombe e della follia di Assad, ma anche dell’estremismo di settori del fronte dei ribelli, soprattutto i miliziani di al-Nousra, movimento legato ad Al Qaeda. “Ci hanno segnalato violenze inimmaginabili, – continua Melki – ad Homs vivevano 40mila aramei e adesso non c’è più nessuno. Alcuni ribelli hanno ucciso sacerdoti, costretto giovani cristiani ad unirsi alla Jihad, molte famiglie non sanno più cosa dire e fare”. I rapimenti sono all’ordine del giorno. I cristiani sono preda di bande improvvisate. Sparisci all’improvviso, la tua famiglia non sa più dove sei: se c’è qualcuno che può pagare un riscatto, bene, altrimenti potresti non fare più ritorno. In genere, i miliziani possono chiedere riscatti compresi tra i 70mila e i 10 milioni di dollari.

Drammatica la denuncia all’agenzia Fides dell’arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham: “Nella città di Hassake, il sequestro di persona è diventato un fenomeno quotidiano. I rapitori non esitano a commettere crimini alla luce del giorno. Circa tre settimane fa, tre uomini armati, a volto scoperto, hanno fermato un taxi e rapito un ragazzo di 10 anni, Saeed Afram Aho, mentre stava andando alla scuola elementare”. Ad oggi, le vittime sono 43, di tutte le confessioni: bambini, studenti, medici, ingegneri, commercianti e gente comune.

L’arcivescovo ha davanti agli occhi “la paura e il dolore delle famiglie”, anche perché i rapitori “utilizzano forme di tortura verso vittime innocenti, in spregio alle virtù umane, morali e religiose, per ottenere il riscatto”. Ai sequestri, poi, si aggiungo le azioni di banditi comuni che compiono rapine, razzie, saccheggi, anche in città. La popolazione “sta morendo lentamente, abbandonata a se stessa”, racconta padre Ibrahim, prete cristiano. “Nei giorni scorsi due fratelli della famiglia Bashr e due giovani della famiglia Fram sono stati uccisi a bruciapelo per strada. I giovani cristiani sono minacciati e terrorizzati, al 90% sono fuggiti dalla città. Se i giovani se ne vanno, a cosa serviranno le nostre chiese?”, dice sconsolato. Uno di loro, Georgius, studente universitario, è riuscito a scappare in Libano: “I miliziani con le bandiere nere del gruppo al-Nousra hanno preso di mira tutti i giovani nati fa il 1990 e il 1992. Li cercano, li accusano di essere militari in servizio di leva, li uccidono a sangue freddo. Vogliono terrorizzare i giovani per impedire di arruolarsi”. La popolazione di Hassake è allo stremo delle forze, continua Georgius, “teme l’assalto finale alla città che potrebbe causare l’esodo definitivo di tutti i cristiani”. Queste testimonianze si commentano da sole. Di certo, dice Melki, “non si costruisce così la democrazia!”. Le sue parole, viste dall’Europa, non sono politicamente corrette. La nostra opinione pubblica è abituata alle semplificazioni, ad una visione manichea della realtà: da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Eppure, quando le sfumature si perdono, diventa difficile mettere a fuoco. “Meglio Assad, allora?”, chiediamo a Melki. “Assolutamente no”, ti rispondono due occhi nerissimi. “È giusto cambiare, è giusto combattere le dittature, ma oggi dobbiamo chiederci che cosa intendiamo per democrazia. 


In Siria è in corso una lotta di potere per instaurare un altro regime. È l’obiettivo di molte potenze della regione, anche per ridimensionare il ruolo dell’Iran”. Il riferimento è agli interessi delle monarchie del Golfo, ma anche di Stati Uniti e Israele. In ogni caso, dice Melki, “abbiamo paura che dopo Assad, possa esserci una deriva islamista”.

Parole che bruciano, se si pensa che la Siria, dopo Egitto e Libano è il Paese che ospita da sempre una delle comunità cristiane più numerose. Melki continua la sua battaglia. Appena poche settimane fa è partito con altri amici per visitare i campi profughi di confine in Turchia, raccogliere storie di disperazione e cercare di indicare percorsi di speranza. Alcune famiglie cristiane si sono messe addirittura nelle mani dei trafficanti di esseri umani: migliaia di dollari per scappare sulle rotte dell’immigrazione clandestina. Prima la Turchia, poi il confine con la Grecia o la Bulgaria a Edirne. Prosegue chi continua a pagare. Chi non può farlo rimane dov’è. Il telefono di Melki ha ricevuto gli appelli di famiglie bloccate in Montenegro, Serbia, Kosovo, Albania. “Mi chiedono aiuto per arrivare in Svizzera, ma non è così semplice; – spiega – le politiche dei governi sono restrittive. La comunità internazionale deve rendersi conto della situazione”.

Emergenza a parte, la posta in gioco è altissima: il timore più grande è che i cristiani di fatto abbandonino il Paese per sempre. La vera sconfitta! È successo così nel ‘900 per aramei, greci e armeni dell’Anatolia, per i caldei dell’Iraq dopo la guerra del 2003. Sta accadendo in parte per i copti dell’Egitto, è già capitato per tutti i cristiani della Terra Santa.

Basta scorrere i dati del Pew Forum, uno dei maggiori istituti di ricerca internazionali. In Medio Oriente, i cristiani erano il 95% della popolazione nel VII secolo, il 20% nel 1945, il 4% oggi, la metà nel 2020. E poi chissà… Terre sante. Come Tur Abdin, terre forse già perdute.

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