Martin Luther King, testimone della non violenza

Pubblicato il 02-09-2013

di Annamaria Gobbato

di Annamaria Gobbato  -  La sua vita e il suo insegnamento continuano ad essere attuali più che mai nel nostro tempo segnato dalla guerra e dalla violenza.

“Take my hand, precious Lord, lead me on, let me stand”, “Prendi la mia mano, Signore, conducimi, tienimi su”: l’inno intonato da Martin Luther King poche ore prima di morire assassinato è insieme  un affidamento e una promessa. A 50 anni dalla Marcia su Washington il sogno della libertà continua a camminare ed è sempre attuale.

“Dobbiamo fare una scelta. Marceremo solo secondo la musica del tempo, oppure, rischiando critiche e oltraggi, marceremo secondo la musica, salvatrice delle anime, dell’eternità?”
Il pastore protestante King invita le famiglie nere di Montgomery ad aspirare ad una liberazione più alta di quella a cui gridano, la fine della segregazione razziale.
Montgomery è una città dell’Alabama, profondo sud degli States. E’ il 1955, e la discriminazione fra bianchi e neri è molto evidente: gli uni e gli altri devono rimanere separati su autobus, taxi, cinema, teatri… Lo stesso King entrando in un ristorante viene fermamente invitato ad accomodarsi nella sala riservata ai neri. Rifiuta, e subito  è il carcere.

Sono frequenti i casi di persone respinte dagli ospedali a causa del colore della pelle, con conseguenze a volte gravissime. I pestaggi della polizia scatenati anche da pretesti insignificanti sono all’ordine del giorno, e non risparmiano donne e bambini. Dietro a molti funerali di neri c’è un episodio di brutalità gratuita da parte di bianchi.
In questa situazione, la rivolta cova ormai anche negli animi più refrattari alla violenza. Martin Luther King lo sa, lo sanno gli altri leader delle principali organizzazioni per i diritti civili. Capiscono che dall’input dato alla loro gente dipenderà o meno lo scoppio della guerra civile. I pareri sono discordi, e la tentazione di” farla finita” con i razzisti è molto grande. Ci sono alcuni, come l’attivista Malcolm X, convinti che solo la forza porterà la liberazione dall’apartheid.

King rifiuta decisamente questa soluzione. “Dobbiamo riconoscere che Gesù fu inchiodato sulla croce non solo dal peccato, ma anche dalla cecità. Gli uomini che gridavano “Crocifiggilo” non erano cattivi, piuttosto erano ciechi. Essi non sapevano quello che facevano. Questa tragica cecità si manifesta in molte forme sinistre anche ai nostri giorni. Alcuni credono che il loro tentativo di mantenere la segregazione sia il meglio per loro stessi, per i loro figli, per la loro nazione. Molti sono brava gente di chiesa, e credono ciecamente nella perenne verità di un mito chiamato supremazia bianca. Ma niente al mondo è più pericoloso della sincera ignoranza e della coscienziosa stupidità. Il compito della Chiesa è allora questo: ricordare agli uomini che bontà e coscienziosità, prive di intelligenza, diventano forze brutali che portano a vergognose crocifissioni. La nobile lezione di Cristo in croce, “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, da sempre e per sempre sarà un assillante ammonimento che solo la bontà può eliminare il male e solo l’amore può sconfiggere l’odio”.

Si arriva così alla decisione di intraprendere azioni che dichiarino il rifiuto di sottomettersi all’ingiustizia senza ricorrere alla violenza. La prima è il famoso boicottaggio degli autobus pubblici. Uomini, donne, bambini di colore per mesi e mesi si recano al lavoro, a scuola, dove è necessario, con mezzi privati gestiti volontariamente da amici e conoscenti. Un colpo durissimo per l’amministrazione cittadina. Si apre un processo ma, contro tutte le previsioni, la sentenza dà ragione a King e ai suoi: è un primo siginificativo passo verso l’uguaglianza. Una prima battaglia combattuta e vinta senza morti e feriti.
La guerra continua. Il 28 agosto viene ucciso un ragazzo nero di soli 14 anni, ma il seme della resistenza é gettato. Otto anni dopo, il 28 agosto 28 agosto 1963, dà un frutto straordinario. Più di 200 mila persone arrivano a Washington per partecipare a quella che si rivelerà una delle più grandi manifestazioni politiche organizzate nella capitale degli States. Arrivano a piedi, in macchina, in pullman, in bicicletta, in aereo, in treno… Alla testa dell’interminabile fila, Joan Baez, Bob Dylan, Mahalia Jackson, Martin Luther King e gli altri leader delle organizzazioni per i diritti umani. Sono presenti anche alcuni attori, tra cui Charlton Heston e Marlon Brando. Dopo l’inno americano intonato da Marian Anderson, sale sul palco Martin Luther King. Si saprà poi che improvvisò il suo “I have a drem”, “Ho un sogno”, mettendo da parte il discorso già preparato la notte precedente.

Un discorso che gli parte dall’anima: “Non indugiamo nella valle della disperazione. Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno. E’ un sogno che ha radici profonde nel sogno americano. Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali. Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità”...

Alla fine della manifestazione, svoltasi senza incidenti, gli organizzatori sono ricevuti alla Casa Bianca dal presidente Kennedy, che nel giugno precedente aveva mandato al Congresso una proposta di legge contro la discriminazione razziale, il Civil Rights Act. Questa legge entrerà in vigore il 2 luglio del 1964, Kennedy era stato assassinato otto mesi prima. Il 4 aprile 1968 la stessa sorte toccherà anche a King, raggiunto da una fucilata alla testa sul balcone del Lorraine Hotel di Memphis, nel Tennessee. Pochi giorni prima, nella stessa città era stato organizzato un corteo, costato la vita ad un altro ragazzo nero.

La lotta iniziata tanti anni prima non era ancora finita. Non è finita, ha dichiarato pochi giorni fa il figlio primogenito di King: “Dopo cinquant’anni, i giovani afroamericani hanno ancora buone ragioni per temere la violenza a sfondo razziale". E Barack Obama ha ribadito che anche se “grazie alla marcia del '63 il mondo è migliore (…)  le disparità economiche e civili del Paese rendono il sogno ancora irrealizzato”.
Ma “… la fede ci sorreggerà nella nostra lotta per sfuggire alla prigionia di ogni malvagio Egitto. Questa fede sarà una lampada per i nostri piedi stanchi e una luce per il nostro cammino tortuoso”. La marcia va avanti. Il sogno cammina con lei.
 
Per approfondire:

La sera dell’assassinio di Martin Luther King, il 4 aprile 1968, Bob Kennedy si recò senza scorta nel ghetto nero di Indianapolis, la città dell’Indiana dove si trovava a motivo della sua campagna elettorale per la Presidenza degli Stati Uniti. Bob Kennedy venne assassinato due mesi dopo, il 5 giugno 1968 a Los Angeles, California.

“Signore e signori - questa sera sono qui per parlare un paio di minuti soltanto. Perché... Ho una notizia molto triste per voi, e credo una notizia triste per tutti i nostri concittadini americani, e per coloro che amano la pace in tutto il mondo. Martin Luther King è stato assassinato questa sera a Memphis, nel Tennessee. Martin Luther King ha dedicato la sua vita alla causa dell’amore e della giustizia per tutti gli esseri umani, ed è morto proprio a causa di questo suo impegno.
In questo momento così difficile per gli Stati Uniti, dovremmo forse chiederci che tipo di nazione rappresentiamo e quali sono i nostri obiettivi. Può certo esserci amarezza, odio, e desiderio di vendetta tra le persone di colore che si trovano tra voi, viste le prove che ci sono dei bianchi tra i responsabili dell’assassinio.
Possiamo scegliere di muoverci in questa direzione come nazione, in una ulteriore polarizzazione, dividendoci neri con neri, bianchi con bianchi, pieni di odio gli uni verso gli altri. O possiamo invece fare uno sforzo per capire, come ha fatto Martin Luther King, e sostituire a questa violenza, a questa macchia di sangue che si è allargata a tutto il paese, un tentativo di comprendere attraverso la compassione e l’amore.
A quelli di voi che sono tentati di lasciarsi andare all’odio e alla sfiducia verso i bianchi per l’ingiustizia di quello che è accaduto, posso soltanto dire che provo i loro stessi sentimenti in fondo al mio cuore. Ho avuto anch’io qualcuno della mia famiglia ucciso, anche se da un uomo bianco come lui.
Ma dobbiamo fare uno sforzo negli Stati Uniti, dobbiamo fare uno sforzo per comprendere, per superare questi momenti difficili. Il mio poeta preferito è Eschilo. Egli scrisse: “Anche mentre dormiamo, il dolore che non riesce a dimenticare cade goccia a goccia sul nostro cuore fino a quando, pur nella nostra disperazione e persino contro la nostra volontà la saggezza prevale attraverso la grazia di Dio”.
Non abbiamo certo bisogno di divisioni negli Stati Uniti, non abbiamo bisogno di odio, né di violenza o anarchia. Abbiamo invece bisogno di amore e saggezza, compassione gli uni verso gli altri, e di un sentimento di giustizia verso tutti coloro che ancora soffrono nel nostro paese, siano essi bianchi o neri.
Questa sera vi chiedo quindi di tornare alle vostre case e di dire una preghiera per la famiglia di Martin Luther King. Ma, cosa ancora più importante, vi chiedo di dire una preghiera per il nostro paese che tutti amiamo, una preghiera perché possiamo provare quell’amore e quella compassione di cui parlavo poco fa.
Possiamo fare molto nel nostro paese. Ci saranno indubbiamente momenti difficili. Ne abbiamo avuti in passato e ne avremo sicuramente in futuro. Non siamo ancora, purtroppo, alla fine della violenza, dell’anarchia e del disordine. Ma la grande maggioranza dei bianchi e dei neri di questo paese vuole migliorare la qualità della nostra vita e vuole giustizia per tutti gli esseri umani che vivono nella nostra terra.
Dedichiamoci a perseguire quello che i greci scrissero tanti anni fa: domare la natura selvaggia dell’uomo e rendere gentile la vita in questo nostro mondo. Dedichiamoci a questo, e diciamo tutti una preghiera per il nostro paese e per la nostra gente.
Grazie”.

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