Erika

Pubblicato il 24-06-2013

di Emanuela Saitta

di Emanuela Saitta - È da poche ore che Erika non c'è più, ma vorrei che la sua storia potesse parlare anche a voi, ed è per questo che sono seduta davanti ad uno schermo a raccontare. Per tutto il periodo del liceo non posso dire di aver avuto una compagna di banco con cui condividere le ore interminabili di scuola, gli intervalli e le gite, io l'ho trovata solo all'università. Conobbi Erika in fila alla segreteria, il luogo dove uno studente passa metà dei suoi anni universitari. Lei con sua madre ed io con mio padre, lì per accompagnare le figlie, ancora non troppo svezzate, all'iscrizione universitaria. La rividi in aula.

Ero seduta all'ultimo banco, lei si sedette vicino a me e quei posti non cambiarono più. Inutile dilungarsi a raccontare la vita delle ultime file, risate, giochi e tanti dialoghi scritti a matita ai bordi del quaderno. Anna, Stefano e Daniele occupavano le postazioni davanti e se qualcosa durante la lezione ci sfuggiva potevamo chiedere a loro! Erika mi trattava così, si divertiva di quanto io fossi svampita e aveva sempre quel sorriso di sfottio che si trasformava facilmente in una risata “sbellicosa”. Pranzi, studi ed esami, il primo preparato insieme al telefono tra risate e conto alla rovescia delle pagine... l'atmosfera a Brescia era leggera. Erika era una delle poche che sapeva della malattia di mio padre, sapeva che per me, le ore passate in quell'aula erano un’oasi felice. Non rimase oasi felice per molto.

Dopo un esame a cui eravamo state entrambe bocciate, la chiamai al telefono per sapere se la rabbia era passata, ma alle mie domande non rispose. "Cos'hai?" le chiesi. "È arrivato l'esame istologico, la cisti al seno è un tumore maligno". Il mondo è pieno di storie come questa, di giovani vite che si spengono a ventisei anni, ma questa è la "mia" storia, ha un volto, ha un nome e una voce ed ha una vita che s’intreccia alla mia. Mio padre e la mia vicina di banco, il cancro era ovunque nella mia quotidianità, a casa e in università.

Erika lasciò gli studi, ma la nostra amicizia continuò. Avevamo venti anni e, nonostante tutto, insieme continuavamo a farci delle grandi risate. Ne ho da raccontare, fino a quest'estate, quando, per una volta che facevamo qualcosa, eravamo rimaste bloccate in macchina dalla grandine ridendo, come sempre. Ma Erika non parlava mai della sua malattia, non le piaceva, odiava il solo pensiero di essere commiserata e col suo carattere duro non esitava a mandare a quel paese anche me. Il dolore della malattia è qualcosa che può allontanarti dagli altri, un fardello che nonostante tutto si porta da soli. L'unica volta che vidi piangere mio padre durante la sua malattia fu quando gli dissi che ad Erika avevano trovato un tumore maligno al seno. Pianse perché sapeva il dolore che avrebbe dovuto sopportare una ragazza dell'età di sua figlia. Erika ne ha sopportato tanto: mastectomia, chemio più volte e i dolori delle metastasi alle ossa. Ha lottato, sofferto e vissuto sette anni, fino a mercoledì. Erika si è laureata a novembre dell'anno scorso, ha scelto di fare tecniche di laboratorio per poter studiare e scoprire nuove tecniche per la guarigione dei tumori. Ha due cani, lei adorava gli animali, se avesse avuto più spazio avrebbe preso il terzo. Aveva un debole per Eros Ramazzotti, bastava darle un "la" e ti cantava qualunque album, oserei dire anche quelli in spagnolo, ma ultimamente in macchina cantavamo i Modà (foto).

Giocava a calcio, per lei era, dopo i cani, la passione più grande. Uno dei sacrifici più pesanti era stato quello di lasciare lo sport, ma lei, in barba a tutti, giocava lo stesso. Si è innamorata, si è lasciata, si è reinnamorata, ha sognato, ha pianto, ha vissuto. Mi ha accompagnato per questi sette anni che per intensità ne valgono trenta. Sono dell'idea che è meglio soffrire per la perdita di qualcuno piuttosto che non averlo mai incontrato, ma sono anche dell'idea che, come dice la poesia: "Nessun uomo è un'isola... Se una zolla viene portata via dall'onda del mare, la Terra ne è diminuita”. Io mi sento diminuita dalla sua mancanza, anche se la so altrove e non nel nulla. Ecco, volevo farvi conoscere Erika, la sua storia e la sua lotta.

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