Speranza dopo la fuga

Pubblicato il 18-04-2013

di Maurizio Di Schino

di Maurizio Di Schino - Sono 300mila i profughi siriani rifugiati in Giordania. La Caritas giordana in prima fila con mille volontari.

Ogni giorno trecento, quattrocento siriani – a volte anche mille – entrano in Giordania e si presentano all’ingresso del campo di Za’atari, una località di frontiera a circa 15 chilometri dal confine tra i due Paesi. Arrivano da Dara’à, Damasco e persino dalle lontane Homs e Aleppo. Fuggono dalla guerra scoppiata in Siria nel marzo 2011 per destituire il regime di Assad e, anche a piedi, arrivano in Giordania con quello che sono riusciti a portare, cioè: quasi nulla. Per loro la frontiera è aperta. I profughi siriani, una volta entrati a Za’atari, svuotati e con la memoria appesantita dagli orrori della guerra lasciata alle spalle, cominciano la vita del campo, una vita di soli disagi. Non esistono campi belli a cinque stelle o campi brutti. Un campo profughi è pur sempre un campo profughi dove, chi vi entra, comunque deve tener conto di nuove regole e di chi gli organizza la vita. Due milioni e mezzo di siriani sono sfollati nel loro Paese. Oltre mezzo milione i profughi in Turchia, Iraq, Libano e Giordania.

VITA NEL CAMPO

Solo nel regno hascemita, i siriani sono circa 300mila, la maggior parte donne e bambini. Sotto le tende di Za’atari hanno trovato riparo 47mila persone; molti, invece, hanno preferito andare oltre il campo per cercare un’alternativa alle tende, che può essere una casa da affittare o una baracca da riparare e disinfestare con l’aiuto di organismi umanitari. Ma chi è rimasto nel campo, anche con l’aiuto del governo giordano, scandisce la giornata con una parvenza di normalità: mercatini di ogni genere, dalla frutta alle scarpe, lavoretti tra le tende, incontri tra la gente, ma senza parlare troppo, perché anche qui potrebbero esserci altre spie del regime siriano come quelle già scoperte. Un giovane ci fa entrare nella tenda assegnata alla sua famiglia. E solo al riparo confida che è un disertore dell’esercito di Bashar al-Assad, perché non ha voluto combattere contro i suoi fratelli siriani insorti. Piuttosto ha preferito scappare dalla Siria, abbandonando tutto ciò che stava realizzando con i suoi sacrifici. Un sacrificio grandissimo quello di lasciare tutto, ma proprio tutto, senza sapere se un giorno tornerà nella propria terra: tutto ciò è inimmaginabile per chi ascolta questi drammi.

Eppure sta succedendo in Siria come in più angoli del mondo. E a farne le spese sono sempre e solo i civili che cadono in ostaggio di fuochi incrociati. Nel caso della Siria, da una parte c’è il regime di Assad con i suoi soldati e i suoi paramilitari, dall’altra ci sono più gruppi di insorti. E poi ci sono i jiadhisti arrivati da più parti per combattere anche in Siria la loro cosiddetta guerra santa. Dall’esterno, inoltre, diversi Paesi fomentano il conflitto.

Mentre in Siria si combatte e si muore, in Giordania il vento soffia sempre più forte e sempre più freddo sul deserto sassoso nel campo di Za’atari. Ai bambini si cerca di alleviare il più possibile la vita da profugo. Ci sono scuole e un tendone sotto il quale farli giocare.

Ma la stentata normalità svanisce quando c’è da fare la fila per gli approvvigionamenti: cibo, acqua, pannolini e soprattutto coperte, perché la temperatura sta scendendo sempre di più. Per l’inverno più rigido, sempre a Za’atari il governo ha già posizionato 3mila prefabbricati: ognuno per 6 persone. Ma sono ancora pochi per tutti i profughi del campo e a gennaio dovrebbe cominciare il trasloco: dalle tende alle casette.

CARITAS IN AZIONE

Nell’emergenza dei profughi siriani, in maggioranza musulmani, soprattutto la Caritas Giordania non ha perso tempo. A novembre del 2011 era già pronta ad accogliere chi scappava dalla guerra. E non ha mai chiesto di quale religione fossero. “Fino a dicembre 2012 siamo riusciti ad accogliere 57mila siriani”, spiega Wael Suleiman, direttore della Caritas Giordania. Nei 12 Centri che fanno da punto di riferimento sul territorio, sono pienamente attivi circa mille volontari e 130 impiegati, in prevalenza giovani.

Tutti si muovono secondo uno stile ricordato da una targa in lingua inglese ed araba ben visibile anche nella sede di Zarqa: “La Caritas non è un lavoro. È una missione”. Parole che risuonano in chiunque si muove per conto della Caritas a garantire assistenza sanitaria, distribuzione di viveri, scuola per bambini e corsi professionali per adulti. E il primo a ricordare a se stesso che è una missione ciò che sta facendo, è il giovane direttore della Caritas, un laico, sposato con tre figli, che ha pensato anche a come rendere proficuo il tempo trascorso in Giordania dai profughi siriani: “Per gli adulti abbiamo realizzato corsi di cucina, di computer e di inglese”, aggiunge Wael Suleiman.

SCUOLE PER I BAMBINI

Un’attenzione particolare è dedicata ai bambini siriani, profughi già alla loro tenera età e quindi costretti a sostituire il gioco con l’arte di arrangiarsi. Il direttore della Caritas ci tiene a dire che per 450 bambini siriani sono riusciti ad assicurare “un programma scolastico di 7 mesi in tre città: a Zarqa, a Mafraq e ad Hosson. Anche se il governo giordano ha permesso loro di entrare nelle scuole pubbliche, diversi sono rimasti fuori perché alcune classi erano già piene di alunni”. 50 bambini siriani tagliati fuori dalle scuole pubbliche sono stati accolti a Zarqa dalla parrocchia dei 12 Apostoli affidata ai preti del Sacro Cuore di Bétharram, che hanno già una scuola parrocchiale frequentata da circa 600 alunni, musulmani compresi. Il parroco, padre Elie Kurzum, racconta dell’accoglienza di 114 piccoli siriani senza toni allarmistici, che sarebbero pure giustificati dall’emergenza in atto: “114 bambini siriani profughi, dall’età di 6 anni fino all’età di 14/15 anni, sono venuti da noi ogni lunedì, martedì, mercoledì , dalle 3 del pomeriggio alle 6 di sera nelle aule delle nostre scuole. Con le nostre maestre abbiamo insegnato loro tre materie: matematica, inglese e arabo. E poi con i giovani volontari della parrocchia abbiamo animato attività e giochi per farli vivere un po’ della loro infanzia”.

PROBLEMA CASA

La Caritas si preoccupa anche di ristrutturare e disinfestare le case dove alloggiano i profughi. E se è necessario, paga gli affitti. A Zarqa, nel quartiere popolare di Jàbal al Abiad – che vuol dire: “La montagna bianca” – vivono diversi profughi siriani sostenuti dalla Caritas Giordania. In uno dei vicoletti sterrati, si apre una porticina che accede ad una casa presa in affitto da una famiglia siriana di 13 persone. Loro sono in Giordania da 4 mesi. La casa è tutta in due stanzette ed un cucinino. La Caritas ha dato un minimo di dignità al tetto che li ripara. Gli spazi sono ridotti, ma è un luogo sicuro per chi ci vive: 8 bambini, 3 donne e 2 uomini. Con il terrore nel cuore per la persecuzione subìta, chiedono riservatezza mentre raccontano il loro dramma: “A Dara’à la nostra casa è stata distrutta dai soldati del regime di Assad”. Loro sono riusciti a raggiungere la Giordania, dove – pur essendo musulmani – possono contare sulla carità della Chiesa cattolica motivata dalla sua missione universale a spalancare le braccia a chiunque abbia bisogno. Pensando ai profughi accolti e a quelli che accoglierà con i suoi volontari e operatori della Caritas Giordania, Wael Suleiman non fa altro che ricordare la spinta che sta motivando tutti: “Siamo qui per una missione, una missione per aiutarli a riscoprire la speranza che loro hanno dovuto perdere, riscoprire che Dio ancora esiste ed è amore”.

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