Nuove generazioni

Pubblicato il 10-08-2012

di Corrado Avagnina

di Corrado Avagnina - Un quadro variegato, tra immobilismo e aspettative negate, senza dimenticare i migranti che da noi cercano dignità e lavoro. Il circuito mediatico è impietoso. E possono esserne segnati anche professori e studiosi per altro calibrati ed attenti. Basta un nonnulla e si finisce… triturati dentro le news che rimbalzano alla grande. Così hanno avuto eco immediata e controversa alcune battute, ammesse quasi subito come infelici, di esponenti del Governo, su tasti sensibilissimi quali il lavoro, il futuro dei giovani, il livello occupazionale. Prendiamone una su tutte, quella in merito alla presunta tendenza o aspirazione dei giovani d’oggi (oltre che al posto fisso) ad una collocazione perenne al fianco di mamma e papà.

Francamente si stenta a cogliere la percezione che si può avere di come stanno andando le cose, su questa frontiera sociale e giovanile tutta in movimento, tra sfide in corso e lagnanze spesso motivate. Alla mente vengono subito pensieri di una certa portata. Come, ad esempio, lo spunto composito sulle radici che ognuno deve mantenere e sulle nuove realtà che è chiamato a frequentare. “Stare vicino a mamma e papà” viene indicato come l’atteggiamento di chi sceglie la protezione, il riparo, il sostegno… senza avventurarsi nei territori inesplorati, senza scommettere in orizzonti aperti, senza mettersi in gioco al di là di tante reti inclusive. Sarebbe un’opzione di comodo, priva di coraggio. E la tentazione di provarci non è da escludere. Anche se per molti è davvero dura, oggi. Però la voglia di uscire dal chiuso non è assente, anzi. Le nuove generazioni si muovono e si spostano alla grande. Conoscono le lingue. Sentono di respirare quando possono viaggiare.

A volte, sempre più spesso, possono mancare i soldi per farlo, per sperimentare qualcosa di diverso altrove o all’estero. Ma c’è pure un’altra mobilità che si registra in questi decenni, ed è quella di chi proprio i soldi non li ha. È l’emigrazione di popoli e genti che cercano lontano da casa – qui da noi in particolare – un pane ed una dignità, che nel proprio Paese non ci sono a sufficienza o non ci sono affatto. Ne siamo alle prove, da decenni ormai, immersi come siamo nella società multi-etnica che ci contiene. Con i problemi e le opportunità che tutto questo ripropone nel quotidiano per tutti.

In questi giorni, un missionario scalabriniano, p. Renato Zilio, che vive ed opera a Londra, lancia sommessamente il suo libro Dio attende alla frontiera, raccontando le molteplicità degli incontri, delle frequentazioni, degli intrecci, delle traversie, delle attese, delle sofferenze, delle nostalgie di tanti che hanno oltrepassato i confini, che hanno radici ma non le possono più coltivare, hanno legami che si sono interrotti, hanno sfide negli occhi e nel cuore da portare avanti dentro un mondo umanamente scombussolato e da rimettere a fuoco. Insomma il quadro è variegato, tra fissità perduta e cambiamento inedito. In esso non possiamo non ritrovarci, senza rimpianti ma anche senza facilonerie.

Sono i tempi pungolanti che ci toccano. In cui i valori, i sentimenti, le abitudini che abbiamo condiviso (cioè le nostre radici) non devono diventare un muro nei confronti dell’altro, ma una risorsa da mettere in circolo, accanto ad ulteriori punti di riferimento, ad altre aspettative, ad altre visioni, perché maturi – a fatica – una convivialità delle differenze che non ci estrania da noi stessi ma ci dona uno sguardo più ampio. In mezzo agli altri che sono un appello e non una minaccia; in un rimescolamento di situazioni che non può disorientare ma che deve rendere più saldi.

Quarta Pagina – Rubrica di Nuovo Progetto

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