E se domani

Pubblicato il 10-08-2012

di Renato Bonomo

di Renato Bonomo - Riparare le brecce, le ferite del passato e del presente per costruire il futuro: è l’avventura del Sermig. Se il nostro futuro sarà una semplice riproposizione del nostro oggi, non avremo scampo. Dagli avvenimenti e dagli incontri che come Sermig abbiamo vissuto abbiamo imparato che il futuro esiste e che è possibile avere speranza. Il domani può essere veramente diverso dall’oggi. Ma l’oggi – e con lui il nostro domani – non cambia da solo; cambia solo se decidiamo di cambiare noi. Proviamo ad approfondire il discorso mediante un ragionamento per comprendere come sia possibile sperare in un futuro diverso. Prendiamo la parola oggi: fino a ieri quello che noi adesso chiamiamo oggi era semplicemente domani. Chi cammina oggi, per la prima volta, all’interno dell’Arsenale della Pace quasi sempre si stupisce vedendo le fotografie di come era ridotto l’edificio quando entrammo nel 1983. Per quei ragazzi del 1983, appena entrati nel rudere dell’Arsenale, questo che è il nostro oggi era per loro un domani indefinito. Sentendo raccontare chi allora c’era si scoprirà che nessuno avrebbe potuto prevedere quello che poi è successo dopo: da allora il bilancio del Sermig è cresciuto ben del 42.000%. Neanche le più rosee aspettative di un ottimista convinto avrebbero potuto prevedere ciò che si è effettivamente realizzato: per i ragazzi del 1983 il domani è stato veramente diverso e migliore dell’oggi. Senza accorgercene la nostra storia ha subito una svolta decisiva quando abbiamo cominciato a rimboccarci le mani per ricostruire e riparare i locali dell’Arsenale.

Un percorso reale che però si è trasformato nella più bella metafora della nostra vita. La ristrutturazione dell’Arsenale ci ha aiutato ad approfondire il senso del nostro stare insieme e del costruire una fraternità. Lavorare su muri e mattoni ci ha permesso di capire che potevano fare la stessa operazione su noi stessi e sugli altri. Prima di tutto su noi stessi: tutti abbiamo bisogno di essere ricostruiti per mettere insieme i nostri pezzi, per guarire le nostre ferite interiori, per trovare una forma unitaria e non correre il rischio di disperderci. Non volevamo però correre il rischio di chiuderci in noi stessi così abbiamo deciso che dovevamo necessariamente portarci fuori di noi, verso gli altri. Riparare noi stessi e riparare gli altri: questo binomio ha generato un circolo virtuoso che ha arricchito in maniera decisiva la nostra avventura, portandoci ad essere coinvolti nel riparare tanti tipi di brecce: la frattura tra giovani e adulti ossia l’incomprensione tra padri e figli, cercando delle vie di riconciliazione reciproca; la frattura tra uomo e Dio in una società che si prende il merito di allontanare l’uomo dal divino; la politica, superando le ideologie in nome di una sua riscoperta come servizio; le sofferenze che il mondo continua a subire a causa dell’avidità e dell’ingiustizia. Centrale in questo tipo di impegno è risultata la cura della persona. Ovviamente la prima e fondamentale attenzione è rivolta a chi viene accolto, in particolare giovani e poveri. La seconda a chi accoglie – come i membri della fraternità e i volontari – attraverso un percorso di formazione permanente. In fondo riparare le brecce tra le persone vuol dire proprio questo: ricostruire delle relazioni. La chiave sta nel provare a mettere l’altro al primo posto comunicando con lui con i fatti, con una testimonianza coerente e non con le sole parole. Già dalla ristrutturazione vera e propria dell’Arsenale, passando poi attraverso l’incontro con le donne e gli uomini del nostro tempo, abbiamo maturato la convinzione che la riparazione delle brecce imponga una vera e propria conversione, un cambiamento che porti ad uno stile di vita diverso, fondato sul silenzio, sull’essenzialità, sulla collaborazione, sul confronto con i giovani.

Queste considerazioni hanno contribuito in maniera significativa a farci entrare maggiormente nella logica della restituzione. Riparare le brecce è diventato per noi quasi un sinonimo di restituzione perché cerchiamo di mettere la nostra vita, per quanto possiamo, con tutti i nostri limiti e difetti, a servizio del futuro. La nostra regola ci viene in aiuto ricordandoci che dobbiamo coltivare una particolare sapienza che è quella di ricordarci dei tanti errori della storia e che con un cuore chiuso non esiste intelligenza capace di farci aprire gli occhi. La riparazione delle brecce vuole certamente essere un’apertura costante al futuro e alla speranza ma ben radicata nel presente e nel passato: ciò significa passare attraverso la storia, viverla da protagonista, ma anche impegnarsi per rendere il futuro diverso dal presente. Il futuro non è una categoria temporale già definita e scritta, non è il fato degli antichi, ma è un orizzonte di possibilità che anche noi possiamo contribuire a costruire: il futuro è un’opportunità che possiamo far nostra, una scelta non solo della ragione ma anche del cuore.

NPSpecial – Riparatori di Brecce 1/8

Nel mondo di oggi si è approfondita una frattura tra uomo e Dio, tra politica e gente comune, tra giovani e adulti. Non è questo il mondo che vogliamo. Serve un cambiamento di rotta. Quando non si riesce più ad essere credibili, a dire una parola decisiva, quando anche le guide sono cieche, è tempo di guardare più alto e più lontano, è tempo di non fermarsi alla denuncia ma di “restituire”, è tempo di tornare a far vivere la profezia, è tempo di riparare le brecce. Non come tappabuchi, ma come ricostruttori di vita, di una vita piena di dignità. Il mondo si può cambiare!

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