Doveri e batterie

Pubblicato il 14-10-2016

di Mauro Tabasso

Coltivare sogni e talenti ti fa diventare un valore aggiunto.

di Mauro Tabasso - L’anziana cardiologa mi guarda con fare bonario e materno, mentre la sua assistente mi appiccica sul petto e sugli arti gli elettrodi per l’ECG. E ora che mi hanno attaccato i cavi, sta a vedere che mi chiederanno anche di fare avviamento. Sì, perché la batteria è proprio a terra.

Ho provato anche più volte ad aggiungere del liquido. Ieri sera, per esempio, ho aggiunto un ottimo prosecchino di Valdobbiadene, veramente elettrolitico al punto giusto, ma euforia a parte non ho avuto nessun beneficio. Ho provato anche con l’avviatore di emergenza, un salamino perfettamente stagionato e dei grissini rubatà che avrebbero destato anche Lazzaro dal sonno eterno, ma niente da fare, la chiave gira ma il quadro non si accende. È il cambio di stagione, è il continuo fluttuare della temperatura o quegli altri diecimila luoghi comuni che con te non hanno mai avuto niente non solo in comune ma nemmeno in provincia. Tuttavia accuso sempre di più la stanchezza, come la batteria del mio telefono. Anni fa ne avevo uno che chiamava e basta, però la carica durava una settimana. Quello che ho adesso fa duemila cose, ma la sua super tecnologica batteria agli ioni di litio non arriva a sera, proprio come il padrone; solo che ricaricare una persona è molto più complicato.

Non basta attaccare l’alimentatore, nutrirla, farla riposare, magari coccolarla o prenderla a calci nel sedere quando serve. Secondo me, su tutto, bisogna riuscire a motivarla. Una persona motivata a fare qualcosa, lavora con la forza di venti braccia, proprio come la Pastamatic. Viceversa quando non le va di farla, quell’azione la affatica, la spossa, la logora, la stressa. La testa si stanca presto e a sua volta stanca il corpo, che dopo un po’ comincia a protestare, prima con lievi sussurri, poi sempre più forte finché c’è batteria. E tutto perché (proprio come il nostro telefono) anni fa facevamo di meno, ma soprattutto avevamo meno cose a cui pensare, meno orpelli che assorbivano la nostra attenzione, la nostra concentrazione, le capacità di calcolo del nostro processore , la nostra memoria, le nostre risorse di sistema. Nel mio lavoro, ad esempio, una volta si pensava a fare musica e a poco altro.

Oggi il fare musica è il 5 per cento del lavoro. Il resto è contatti, telefonate, mail, sms, social network, demo, cura dei rapporti e della contabilità. Studiare manco se ne parla, non se ne ha più il tempo. Molte e molte volte mi è venuta voglia di cambiare mestiere, perfino di cambiare vita. Spesso mi sono recato al lavoro solo perché dovevo, oppure perché ne avevo bisogno, dimenticando anche che alzarsi la mattina per andare a lavorare in certi contesti è diventato un privilegio. Ma i guai del resto del mondo non sono mai stati per me una motivazione valida. Mal comune non è mezzo gaudio, almeno per me. E lavorare perché devo lo trovo insopportabile.

Non fraintendetemi. Come tanti ho un gran bisogno del mio lavoro, tuttavia da tempo sto cercando di sostituire il verbo devo con il verbo voglio. La verità è che io voglio lavorare, e la mia volontà è sostenuta da un milione di ottime ragioni, non ultimo il fatto che ne ho bisogno. E questo cambia parecchio la prospettiva delle cose. Inoltre credo che ognuno di noi abbia la possibilità di fare qualcosa per migliorare la propria area di influenza.

Tutti abbiamo almeno un dono speciale, con il quale possiamo diventare un valore aggiunto per la nostra vita o per la vita di qualcun altro, ma di quel dono, e dell’uso che ne facciamo, siamo responsabili prima di tutto verso noi stessi. Il bene che scegliamo di non fare e l’amore che decidiamo di non esprimere, prima che agli altri li neghiamo a noi, e negarsi delle cose rende sempre infelici. Rincorro da tutta la vita alcuni sogni, musicali e non, professionali e personali. Non ha nessuna importanza se riuscirò a realizzarli tutti oppure no.

Ciò che conta e ciò che mi incoraggia è il fatto che forse la mia fatica può ispirare qualcun altro, e quel qualcuno, anche grazie al mio esempio, potrà realizzare qualche suo sogno. Detto ciò, prendo atto che mi sono fatto un discreto pistolotto, una bella predica! Probabilmente se ci avessi pensato prima ora non sarei qui dalla cardiologa.

Articolo del numero di ottobre 2015








Rubrica di NUOVO PROGETTO



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