Far felici gli altri

Pubblicato il 09-08-2012

di Ernesto Olivero

Di Ernesto Olivero - La speranza a parole non mi interessa. Mi interessa solo fare felici gli altri. Se ci riesco, questa è speranza.

LÌ C’È LA SALVEZZA
Quando voglio che il mio pensiero e la mia mente si rallegrino, basta che immagini di essere in Giordania, a Madaba, all’Arsenale dell’Incontro, di piazzarmi sulla porta e aspettare il pulmino che arriva. Sento già nell’aria uno strepitio, e appena si aprono gli sportelli dell’automezzo ecco cinque, dieci, quindici, venti bambini disabili scendere con una gioia indicibile: vedono nella porta aperta dell’Arsenale dell’Incontro una salvezza e si precipitano per coglierla. Sono i ciechi e gli zoppi del Vangelo, persone che fanno fatica a camminare, ma che hanno gli occhi fissi su quella porta: “Lì c’è la salvezza, lì siamo amati, lì possiamo giocare, lì passeremo una buona giornata”. Ecco, quando voglio pensare a qualcosa di bello, vado sul sicuro.
Non so cos’è la speranza, ma so che da quando la Provvidenza ci ha fatto incontrare persone che avevano chiuso con la vita e si sono sentite accolte, ho visto assassini convertirsi, veramente: hanno trovato una porta aperta e non uno sguardo di pietra che li giudicava.
Non so cos’è la speranza, ma ho visto donne fatte a pezzi dalla vita ritrovare qui tra noi il sorriso perché qualcuno le ha accolte e, nel silenzio, ha pianto con loro.

SCELGO DI RESTARE IN SILENZIO
Non so cos’è la speranza, ma so quando faccio felici gli altri: quando riesco a non alzare la voce, quando riesco a gioire delle mie amiche, dei miei amici e a lasciare loro spazio, a lasciar loro la parola. E io, che avevo un’idea magari buona, scelgo di restare in silenzio, perché l’altro si possa esprimere e sia felice della sua idea. Quando voglio un esempio sicuro, penso a Dom Luciano Mendes de Almeida (foto), un san Francesco d’Assisi con la testa di un grande filosofo: in ogni situazione era sempre attento agli altri, al fatto che l’altro si potesse esprimere e realizzare.

FAR FELICI GLI ALTRI
Non so cos’è la speranza... anzi, non è vero, so cos’è: è far felici gli altri. è aiutare, senza parole inutili, chi è nel dolore a respirare: “Sono con te; non so darti risposte, ma sono con te. Non sei solo”. La speranza è non far sentire solo nessuno. La speranza per Torino è far capire alla gente che c’è un Arsenale della Pace che veglia 24 ore su 24, con una porta aperta, un telefono sempre pronto ad ascoltare un dramma. E a volte, a piangere insieme. Perché ci sono tante domande, ma non ci sono tutte le risposte. La speranza è anche avere un po’ di rimpianto: se ci fossero delle ragazze e dei ragazzi in più a dare la vita, potrebbero esserci più risposte; se tra noi che abbiamo dato la vita non ci fosse più nessuno pieno di sé, pieno del proprio io, potrebbero esserci più risposte. La speranza è vigilare sul proprio io, perché l’io è terribile, l’io sembra logico ma ti restringe la vita, ti restringe il fiato. E questo può capitare, anche in mezzo a noi.

SECONDO LA LOGICA DI DIO
Io so cos’è la speranza, è saper chiedere aiuto allo Spirito Santo: “Sono stanco, non so cosa dire, aiutami tu”. Perché per dare speranza - anche quando sembra venir meno in noi stessi - non dobbiamo parlare secondo la nostra logica, ma secondo la logica di Dio, che bussa costantemente alla nostra porta. Diventiamo cristiani quando diamo spazio allo Spirito. Il cristiano incomincia a dire vere parole di speranza quando, non sapendo cosa dire, cosa fare, a volte neanche cosa pensare, quasi presta la voce, presta lo sguardo, presta le mani a Dio; allora si accorge che qualcuno vicino a lui si rallegra. La speranza è quel volto che sorride tra le lacrime, è quella persona che aveva smesso di camminare e ricomincia a muoversi. Tu ti meravigli e ti accorgi che in quel momento proprio l’altro sta dando speranza a te.
Io so cos’è la speranza: è amare, e amare è dar da mangiare a chi ha fame, vestire chi è nudo, accogliere lo straniero, visitare il carcerato…

Speciale – Il DNA della SPERANZA 1 / 8
Potremmo chiederci quale significato la nostra cultura dà alla speranza. Sicuramente: sopravvivere alla fame o alle catastrofi, un posto di lavoro, la salute, una vincita, una vittoria politica... Ma anche le riflessioni della filosofia e della teologia, che puntano lo sguardo oltre l’immediato. Le risposte sono tante quante le attese che ci portiamo dentro. Noi abbiamo scelto di parlare della speranza partendo da fatti concreti della vita, da testimonianze che raccontano come si può trasformare il negativo in positivo, come sprigionare le risorse che sono a disposizione dell’uomo. Senza dimenticare che la responsabilità di portare alla luce una situazione imprigionata dal buio è personale. Siamo come delle candele che aspettano di essere accese per essere e fare luce. E lasciarsi consumare attraverso le carità, attraverso la compassione, attraverso l’aiuto agli altri.

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