Il dialogo che cambia

Pubblicato il 29-06-2014

di Ernesto Olivero

Sta maturando la convinzione che il dialogo interreligioso debba scendere sempre più in profondità ed acquistare in chiarezza, per portare frutti di una convivenza possibile, nel rispetto reciproco

Se mi siedo attorno ad un tavolo per dialogare è perché sono pronto a confrontarmi, a utilizzare la ragione per cogliere le ragioni degli altri, per cambiare qualche mio comportamento non consono alla ragione e anche qualche idea preconcetta. Da anni ci sono incontri interreligiosi sul dialogo in più parti del mondo, soprattutto in occidente. Sono serviti? 


Mi chiedo se tutti i nostri sforzi stanno avvicinando le parti o stanno semplicemente ribadendo le diversità assolute. Per il dialogo ci vuole calma e in questo momento di confusione le parole rischiano di essere mal comprese. Allora è tempo di tacere, studiare, pensare e ripensare al valore intrinseco del dialogo.

 Il dialogo dovrebbe essere l’aspirazione di tutte le donne e gli uomini - credenti e non credenti – per educarci a riconoscere la ricchezza dell’altro e farla nostra, per aiutarci ad entrare in una dimensione di rispetto per gli altri e per la loro storia, a riconoscere i nostri errori e ad eliminare i pregiudizi. Solo in questo confronto possiamo capire gli errori passati con i quali dobbiamo ancora riconciliarci.

Il dialogo si prepara nella conoscenza reciproca, maturata attraverso la conoscenza delle religioni e delle culture degli altri, attraverso il rispetto reciproco e azioni comuni. Cristiani, ebrei, musulmani possono lavorare insieme contro l’ingiustizia, contro la fame, per garantire a tutti i diritti umani universali, per creare sviluppo e sicurezza. Sono convinto che se io musulmano, io cristiano, io ebreo vedo altri – non appartenenti alla mia religione – lavorare veramente, senza secondi fini, con disinteresse, per abbattere la fame, per portare scolarizzazione dove c’è analfabetismo, per portare acqua, case, lavoro dove non ci sono, incomincerò ad avere stima di loro.

 Dobbiamo prima di tutto entrare in un atteggiamento di stima, fidarci degli altri, capire che il mondo è un villaggio, il nostro villaggio, il villaggio di tutti. Dobbiamo accettare la saggezza della reciprocità, e questa chiede che l’ebreo, il cristiano, il musulmano possano pregare in piena libertà e sicurezza a Baghdad come a Torino, in Somalia come a Mosca.

Dobbiamo smettere di perseguitare chi cambia religione, dobbiamo smettere di costringere chi ha una religione diversa dalla nostra a scappare dalla propria terra, anzi, dovremmo creare le condizioni perché chi è stato costretto ad abbandonare la propria casa e la propria famiglia possa ritornarvi e vivere in pace e in libertà.

Solo allora il dialogo farà strada, perché cercheremo di capire come il meglio degli altri può migliorarci; come l’ebreo, il cristiano, il musulmano possono elevarci maggiormente a Dio, possono farci diventare più buoni. Oggi non è così! La situazione è estremamente seria, perché in questo momento si stanno confrontando due modi di pensare la società davvero diversi. Ma dovrà essere così se vogliamo che le religioni non siano l’alibi per una nuova guerra pazzescamente mondiale.

Per parte nostra, noi cristiani dobbiamo entrare, in fretta e bene, nel pensiero di Gesù che è amore e perdono, per poter guardare l’altro con compassione, e forse l’altro ci guarderà con compassione. Questo cristianesimo c’è già, nell’opera quotidiana e perlopiù ignorata di tante donne e uomini che come suor Leonella, don Andrea Santoro, Annalena Tonelli spendono la vita per amore del prossimo, pagano con la vita il loro amore.

Questi testimoni sono un grande dono che il Signore ci ha fatto, un seme di speranza piantato nella storia a volte tragica dei nostri tempi, un’anticipazione di un tempo nel quale sapremo convivere, nel quale il deserto diventerà giardino, dove prenderà dimora il diritto e dove regnerà la giustizia; dove effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza e tutto il popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri.

Ernesto Olivero

  

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