Simeone

Pubblicato il 03-12-2023

di Chiara Dal Corso

Un terzo di una delle tavolette di Santa Sofia ospita un santo molto conosciuto nel mondo cristiano orientale e nella tradizione dei padri della Chiesa. Tanto è vero che, sebbene nato in Siria alla fine del IV secolo, si trova nella stessa icona di fianco a Giovanni l’apostolo ed evangelista, e Filippo Apostolo. Un santo tosto, del calibro degli apostoli. Parliamo di Simeone stilita (il Vecchio). Di lui ci raccontano diverse fonti, tra cui Teodoreto (440 ca), Evagrio Pontico, uno scrittore siriaco che ne scrive la vita e anche il suo discepolo Antonio.

Leggiamo, proprio da Antonio, che la sua vocazione comincia da ragazzo, quando ancora pascolava il gregge di suo padre e la domenica si recava in chiesa. Un giorno, sentì un brano di san Paolo e chiese ad un vecchio di spiegargli il significato di quelle parole. Gli rispose il vecchio: «La continenza è la salvezza dell’anima, che guida alla luce e che conduce al regno dei cieli. […] Considera queste cose nel tuo cuore: bisogna infatti che tu soffra la fame e la sete e che tu sia oltraggiato, schiaffeggiato e schernito, che tu gema, pianga, sia oppresso e subisca i rovesci della sorte, che tu rinunci ad essere in salute e ad avere desideri, che tu sia umiliato e patisca molti mali da parte degli uomini e così che tu sia consolato dagli angeli; ecco, dopo aver inteso tutte queste cose, ti dia il Signore della gloria una mente capace secondo la sua volontà».
Udite queste parole, Simeone esce dalla chiesa, si reca in un luogo solitario e si prostra per sette giorni, piangendo e pregando Dio senza prendere né cibo né bevande. E dopo i sette giorni, sollevatosi, se ne va di corsa in monastero.

Da questo momento inizia per il giovane Simeone un cammino di mortificazioni sempre più dure che egli impone a se stesso. Simeone continua questo percorso che lo porta a vivere in solitudine e a fare lunghissimi digiuni e vivere di niente altro che di preghiera. Senonché questo suo modo di vivere attira dapprima i curiosi e poi sempre più persone, fedeli, che si accorgono che non è matto, anzi le diverse fonti accertano che riuscisse ad operare moltissime guarigioni, liberazioni, e che la sua preghiera fosse molto potente. Tanto che per mantenere il suo “distacco” si inventa una piccola torre su cui decide di andare a vivere. Egli, tuttavia, non allontana le persone che vanno da lui, ma permette loro di salire con una scala e dimostra in diverse occasioni la sua umiltà. Il suo “allontanamento” in verticale dal mondo non corrisponde ad un odio o disinteresse per gli esseri umani, ma gli è necessario per mantenere un rapporto più intimo con Dio. Così ben presto anche autorità pubbliche, persone di potere si rivolgono a lui per chiedere consiglio. E nonostante cambi due o tre volte la stele, costruendola sempre più alta, la gente e l’interesse intorno a lui aumentano e si formano anche gruppi di monaci che vogliono imitare il suo esempio.
Muore sull’ultima stele, alta, sembra, più di 15 metri, nella zona di Qal‘at Sim‘an, in Siria, dove dopo la sua morte è sorto un monastero.

Ecco come questa icona, attraverso l’immagine di un monaco seduto su una torre, ci dà una sintesi “visiva” del percorso di un’anima che ha cercato di andare contro qualunque forma di comodità. Ha spogliato se stessa ed è giunta ad un tale distacco da sé e dai beni terreni, ad una tale libertà spirituale da ottenere quella “capacità” interiore di poter essere tutta di Dio, e tutta riempita di Dio, tanto da poter essere un “canale di grazia”, in grado di distribuire ai suoi fratelli le grazie stesse di Dio, i suoi doni, di guarigione, di conversione, di liberazione. Chissà se, nonostante la sua radicalità che ai nostri occhi appare eccessiva, questo santo stilita non ci stia dicendo qualcosa: la sua ricerca di “svuotamento dei sensi” e di essenzialità è un’indicazione anche per noi, oggi, per aiutarci a indirizzare i nostri sforzi verso il vero senso della vita, a ricercare una personale relazione con Dio.


Chiara Dal Corso
NP ottobre 2023

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