Report da Haiti - 12 marzo 2010

Pubblicato il 06-09-2011

di irene

minihaiti.jpgL'ultimo resoconto di Irene, volontaria del Sermig, che si è trovata sull’isola caraibica per una tesi di laurea e che invece ha vissuto la tragedia del terremoto. Un'irripetibile esperienza di bene, la stessa che in molti abbiamo vissuto da qui. Da una parte le notizie di morte e dall'altra una generosità senza fine.

di Irene Panarello
 
Ho pensato di scrivervi qualcosa oggi per concludere i miei racconti dell'esperienza che ho vissuto ad Haiti. Da lunedì sarò nel Batey Cuchilla vicino a Neyba (nel sud ovest della Repubblica Dominicana), per qualche giorno e quindi la mia attenzione si concentrerà sulla tesi (almeno ci sto provando), ma se avrò altre notizie di come procedono le cose ad Haiti vi terrò informati.
 
Sono passati esattamente due mesi dal terremoto che ha sconvolto Haiti e sono molte le cose che vorrei ricordare oggi. Il primo pensiero va a tutte le persone che hanno perso la vita nel terremoto, a quelli che sono ancora sepolti sotto le macerie, alle famiglie distrutte dalle perdite e dal dolore di non sapere dove siano i loro cari e di non avere un corpo su cui piangere (provare a mettersi nei loro panni c’è da impazzire).
 
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Un secondo pensiero, molto doloroso, va alle responsabilità umane in questa faccenda, quelle di chi ha costruito le case come non andavano costruite, di chi ha speculato sulla miseria di questa gente, di chi ha ricevuto aiuti da tutto il mondo e non sembra essere in grado di alleviare il degrado in cui sta vivendo la popolazione haitiana. Fa male pensarci.
 
Un altro pensiero va al lavoro che ancora c’è da fare e che è immenso. A livello medico - sanitario ci sono tantissime carenze, mancano strutture, strumenti, medicine, personale specializzato. Insomma, tutto ciò che per noi in Italia è scontato, qua non lo è e ogni problema di salute può diventare complicato. Ci sono difficoltà con i fissatori esterni che sono stati messi abbondantemente, ma che non vengono sufficientemente disinfettati e seguiti e di conseguenza le infezioni sono all'ordine del giorno. Ci sono diversi casi di fratture scomposte che non sono state sistemate prima che venissero messi i fissatori. Ci sono tanti amputati, c'è bisogno di protesi e di fare fisioterapia e riabilitazione.
 
Dal punto di vista organizzativo e abitativo Port-au-Prince è un cumulo di macerie, spazzatura, cattivi odori e tende improvvisate. Una situazione insostenibile se si pensa che sono già passati due mesi dal terremoto e da quando la gente ha iniziato a vivere in queste condizioni. Come si può pensare alla ricostruzione finché le macerie restano ovunque e ci sono ancora case sotto le quali si trovano cadaveri? Come si può permettere che in ogni angolo libero di Port-au-Prince sorgano ammassi di tende, lenzuoli e teli di plastica senza logica, senza ordine, senza un minimo di igiene e sicurezza? Le organizzazioni che hanno lavorato nell'emergenza se ne stanno andando e anche le rappresentanze di molti Stati.
 
Anche la portaerei italiana Cavour è in partenza insieme al dipartimento della Protezione Civile che era stanziato all'ospedale legato alla Fondazione Rava. Gli unici che sembrano intenzionati a rimanere sono gli USA (visto il dispiegamento di mezzi e persone che hanno all'aeroporto di Port au Prince) e le Nazioni Unite (che stanno facendo delle spianate per fare non si sa cosa, ma si dubita che siano per accampamenti...). Insomma Haiti sembra sul punto di entrare nel dimenticatoio.
 
C’è tantissimo lavoro anche dal punto di vista dei bambini, i più fragili in questo momento. Tanti hanno perso la famiglia (e magari un braccio o una gamba) e per come stanno le cose finiranno in orfanatrofi o per strada1haiti.jpg o non si bene dove. C'è un'incredibile urgenza di dare qualche possibilità a queste persone di poter comunque sperare in un futuro migliore. Tanti sono ancora traumatizzati, molti dormono nelle tende anche perché hanno paura di rientrare in una casa. C'è chi non dorme, chi ha incubi, disturbi di diversi tipi e tanto bisogno di interventi di tipo psicologico o anche solo di disponibilità ad ascoltare quello che ha vissuto.
 
Però devo dire che in tutto questo dolore ho visto anche cose positive, che mi hanno dato momenti di speranza. È impressionante vedere come, anche se ci si sente piccoli piccoli, con le nostre due mani riusciamo a fare delle cose belle, magari non sensazionali, ma veramente belle. È sorprendente quanto amore, compassione, delicatezza ci avvicinano agli altri uomini che vediamo soffrire e come in tanto dolore si riesca comunque a fare sbocciare qualche sorriso, che ha un valore tutto speciale. È stato bello riscoprire il valore di fare cose semplici e necessarie, di essere disponibili e pronti per far fronte alle continue e diverse necessità.
 
Mi ha colpito molto anche la presenza di tanti volontari, spesso gente semplice, che hanno lasciato il lavoro, la casa, la famiglia non senza sacrifici per aiutare qualcuno che non conoscevano nemmeno. Questo mi sorprende sempre.
Irene Panarello

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