I tre passi dell’amore

Pubblicato il 09-11-2017

di Maria Pia Bonanate

di Maria Pia Bonanate - La grave malattia del marito: un imprevisto che le ha cambiato la vita ma non ha fermato l’amore. Anzi, ha aperto strade nuove e impensabili. Maria Pia Bonanate, giornalista e scrittrice, lo racconta ai ragazzi dell’Arsenale.

Alcuni anni fa, un giorno ero accanto al letto di mio marito, lo guardavo, lo accarezzavo, gli parlavo in modo semplice – non si possono fare grandi discorsi a qualcuno che non ti può rispondere – e mi scappò qualche lacrima. La mia nipotina, che ormai è una ragazza di diciotto anni ma allora ne aveva solo otto, mi guardò e mi disse, con quella serenità, quella convinzione, quella forza che è propria soltanto dei bambini: «Nonna, non piangere... Nonno non parla, non si muove, ma c’è. Nonno c’é». Queste parole mi hanno fatto entrare dentro la consapevolezza che al di là delle grandissime limitazioni, lui era vivo, lui esisteva!

Da allora tutto è cambiato e tutti coloro che si avvicinano al letto di Danilo sentono, riconoscono che quest’uomo immobile nel suo letto c’è, esiste. Voi direte: sì, ma esiste in quei termini lì! E allora? Allora io ho pensato che se una bambina mi aveva trasmesso con quelle parole la precisa sensazione fisica che mio marito continuava ad essere vivo nonostante tutto, io dovevo ricominciare la mia vita partendo dal fatto che lui esisteva sempre. La vita che lui ha va al di là delle apparenze, dei limiti. Mi ha aiutata il fatto che a casa mia abbiamo sempre amato molto la vita, in tutte le sue espressioni, gioiose e meno gioiose. Già prima tenevamo le “finestre spalancate”, a quel punto abbiamo deciso di spalancare le porte, giorno e notte, e abbiamo creato una piccola comunità di persone che si avvicendano in quella stanza, amici e personale infermieristico.

E si è verificato subito un capovolgimento nelle relazioni: molti che avevano quasi paura di venire in casa, di vedere una persona così, hanno respirato un’atmosfera che li ha convinti a tornare, un’atmosfera fatta di musica – lui è molto appassionato di musica classica – e di vita quotidiana che continua ad avvolgerlo così come è sempre stato. In quella stanza sulla piazza si è pian piano sviluppata sempre più una realtà di grande amore. Io ho conosciuto una nuova dimensione nel mio rapporto con lui: corpi che si parlano senza parole, in modo misterioso ma reale. È una realtà che chiunque venga in casa mia tocca con mano. È come se questo amore si fosse appiccicato alla pareti di casa, di questa stanza sulla piazza dove c’è un uomo che ha un ruolo molto importante e centrale nella vita della mia famiglia, continuando ad essere un punto forte di riferimento come è sempre stato. La sua è un’esistenza mortificata fisicamente ma esaltata come realtà, come presenza, come vita.

È una scelta che non è capita da tutti. Alcuni mi chiedono perché non ho posto fine alla sua vita, «perché non avete staccato la spina?». Oggi c’è una mentalità diffusa per cui quando si giudica che una persona malata non ce la fa più e non ci sono speranze umane di sopravvivenza autonoma sia necessario porre fine ad un’esistenza. Io non giudico ma faccio anzitutto una distinzione fra dire e vivere una situazione: una cosa è parlarne, una cosa è viverla, proprio perché ognuna è diversa dall’altra, è unica. Io ho fatto la scelta di non staccare la spina perché penso che la vita sia la cosa più importante che c’è al mondo, per mio marito prima di tutto. Poi, penso sia importante mettersi in ascolto di questa vita, che ti chiede di cercare di capire quali possibilità può ancora avere.

Alcuni amici medici – altri non sono di questo parere – mi hanno detto che quando una persona è irreversibilmente ammalata, il suo corpo si lascia andare, la sua psiche in un certo modo si chiude. Ora, mio marito questo non l’ha mai fatto. Io non ho mai fatto accanimento terapeutico, lui ha dentro una forza vitale che non è mai venuta meno. Pensate che il suo corpo, dopo undici anni, non ha una piaga. E, in assenza della parola, proprio da questo suo comportamento del corpo ho capito che non potevo troncare la sua vita, ho scelto di darle la possibilità di continuare finché accadrà qualcosa che in modo naturale se la porterà via.

Da questa mia esperienza ho imparato a non ascoltare discorsi astratti sulla malattia e soprattutto ad affrontare quelle situazioni incomprensibili cercando di amarle. Di amarle il più possibile, perché l’amore è la molla che cambia anzitutto noi, che cambia l’ambiente in cui viviamo e che cambia anche un pezzetto di mondo. Quello che mi è successo mi ha dato una forza d’amore che prima non avevo; certo, prima c’era una normalità in cui ci si voleva bene, ma adesso in quella stanza passa il mondo. Passano tutte quelle persone che vivono nei sotterranei della storia, passa il silenzio di tutte quelle persone che noi non conosciamo ma lì dentro le senti. È un amore silenzioso, fatto di ascolto.

Pensiamo alle persone che in genere stanno sotto la parola “amore” nella vita di tutti i giorni: certamente abbiamo voglia di abbracciarle, baciarle, andare anche oltre se si tratta di una relazione affettiva, ma io ho maturato la convinzione, anche nei confronti di mio marito, che l’amore è soprattutto ascolto. E rispetto. Questa sopraffazione continua sull’altro, fisica, verbale, che oggi c’è sotto l’etichetta amore è più un’esternazione, mentre l’amore per potersi sviluppare, approfondire, maturare, reinventarsi, ha bisogno di ascolto. Oggi la parola amore è abusata, stuprata. «L’ho ammazzata per amore». Il femminicidio in Italia è una cosa impressionante.

Ogni due giorni un uomo ammazza una donna “per amore”. Vi sembra amore quello? Ma se tu non riesci ad ascoltare, in silenzio, in umiltà, dimenticando la pretesa che hai verso l’altro, ed ascoltando chi è, e di che cosa ha bisogno, non fai il primo passo. E il primo passo è l’ascolto. E poi, è importante il rispetto: oggi non ci rispettiamo più tanto, ci spintoniamo continuamente, in casa, in ufficio, sul tram... Invece noi abbiamo davanti delle persone, ed ogni persona va rispettata. L’amore va declinato con l’ascolto, con il rispetto, con il silenzio... Il frastuono, il rumore sono un qualcosa che disturbano l’amore; l’amore chiede il desiderio di andare al di là delle apparenze.
Tre cose quindi declinano l’amore: il silenzio, l’ascolto, il rispetto. Con questi tre passi tu arrivi a costruire l’amore.

a cura della redazione UNIDIALOGO
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