Dio, ma padre

Noi invochiamo Dio come Padre, ma forse senza renderci conto pienamente di ciò che diciamo. Dio è veramente l’autore della nostra vita, tutto ha origine da lui. Uniti a Gesù nel battesimo, diventiamo nati da Dio (Gv 1,12-13), un Dio che vuol porsi con me in una relazione Padre–figlio perché mi ama in maniera totale, completa.

Ma noi, accettiamo questo rapporto, crediamo di essere guidati, amati, circondati e protetti dalla presenza amorosa del Padre, che ci chiede solamente di accettare i suoi doni e il suo amore?
Dobbiamo cercare di rivivere il rapporto filiale di Gesù, la cui vita è stata una totale dipendenza dal Padre. Gesù insisteva che le parole che egli diceva non erano sue ma del Padre, come la sua dottrina, come le sue opere (vedi a esempio Gv 8,26–29; Gv 5,30). Gesù faceva sempre ciò che piaceva al Padre, fare la volontà del Padre era suo cibo e sua bevanda, la sua vita. Chiamare Dio con l’appellativo di Padre, significa dirgli: accetto responsabilmente che la mia vita sia totalmente dipendente da te, totalmente dipendente; ti chiamo Padre perché voglio essere tuo figlio, vivere come tu vuoi.

In tutto il Vangelo di Giovanni si insiste sul fatto che Gesù imposta la propria vita guardando il Padre.
Anche noi dobbiamo comprendere che essere figli è un qualcosa che investe tutta la nostra vita. Quindi pregare dicendo Padre non è dire delle parole, delle frasi, ma è un modo di porsi in un rapporto filiale, è un modo di essere, di collocarsi in uno stato di dipendenza creata dall’amore. E il nostro rapporto filiale è unico, perché ciascuno ha il suo modo di essere figlio.

Insegnandoci a chiamare Dio nostro Padre, Gesù ci dice: comportatevi e vivete da figli di fronte al Padre vero, siate e sentitevi figli, abbiate una totale fiducia, abbandonatevi, non abbiate paura.


p. Mario Nascimbeni da Progetto (ora NP) ottobre 1992
NP febbraio 2024