Colui che ci fa pregare

Pubblicato il 06-06-2014

di Mario Airoldi

don Livio Chiriotti, Pentecostedi Mario Airoldi - Per aiutarci a capire l’amore di Dio, la Scrittura usa tutte le immagini più belle, più vive, che nascono dall’esperienza umana dell’amore. Queste immagini dobbiamo approfondirle, meditarle, contemplarle, perché penetrino nella nostra mente e nel nostro cuore, e ci facilitino l’incontro, nel nostro intimo, con il Dio d’amore, in un rapporto d’amore. Questo esercizio non lo facciamo da soli. Infatti, da soli non possiamo raggiungere questo Dio d’amore, non possiamo comunicare con lui. Egli ci viene incontro e ci chiama, fa sì che possiamo udire la sua voce e rispondergli, per l’azione dello Spirito.

lo Spirito ci dona la fede

San Paolo ripercorre, nella lettera ai Romani, il cammino di corruzione dell’uomo dopo la creazione, cammino che lo ha allontanato da Dio e che anche Israele ha percorso. Il Cristo è venuto, “ma il mondo non lo ha riconosciuto” (Gv 1,10) e la sua croce di salvezza è scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (cfr 1Cor 1,23). Eppure è potenza di Dio, è sapienza di Dio.
“L’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito” (1Cor 2,14). Ecco allora che “nessuno può dire: Gesù è Signore!, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3), e se noi crediamo è perché “a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1Cor 2,10). Un Dio crocifisso, un Dio perdente è follia per il razionalismo, e per la religiosità che cerca l’ostentazione, la manifestazione, lo spiegamento dell’onnipotenza, il trionfo. Questa disarmonia di un Dio inchiodato su una croce, questa apparente follia che è la “sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta” (1Cor 2,7), “quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo” (1Cor 2,9), sconcertano e scandalizzano il razionalista. Ma anche dopo aver riconosciuto Gesù come Dio, sotto l’influsso dello Spirito, noi continuiamo a sentire dietro di noi i desideri della carne: “la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda” (Gal 5,17). Dobbiamo quindi lasciarci guidare dallo Spirito, per scoprirne i desideri. Egli ci insegnerà in primo luogo cosa domandare al Padre misericordioso. “Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio” (Rm 8,26-27).
Noi non sappiamo cosa sia conveniente domandare, quindi fondamentalmente non sappiamo pregare; abbiamo però dentro di noi l’intercessore, lo Spirito Santo che intercede per noi con insistenza, con gemiti inesprimibili.

lo Spirito ci rende figli

Noi dobbiamo essere docili alla guida dello Spirito: “tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abba, Padre!. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,14-17; cfr anche Gal 4,6-7).
Lo Spirito Santo è dunque il principio della nostra identità personale di figli di Dio. Alla radice del nostro essere cristiani, essere figli di Dio, c’è lui. È quindi la radice del nostro essere redenti, divinizzati: il mio io filiale è dato dallo Spirito che è dentro di me. Ed è a partire da questa redenzione che siamo chiamati a crescere, immergendoci sempre di più nell’amore trinitario. Infatti come figli, partecipiamo dell’amore: “perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).
Abbiamo detto che continuiamo tuttavia ad essere soggetti ai desideri della carne, della nostra debolezza umana e, a volte, vedendo ciò che affiora in noi dell’uomo di carne, ci rendiamo conto che ciò è solo la punta di un grande iceberg nascosto, ed abbiamo paura di quanto di oscuro può abitare nel nostro profondo. Deve però prevalere la speranza, perché in noi abita lo Spirito, che scruta questo nostro profondo, le nostre profondità più misteriose che noi non riusciamo a raggiungere con la nostra coscienza, il nostro occhio interiore. E lo Spirito intercede per noi, ci guida, ci mette in comunicazione con Dio, ci fa partecipare al suo amore trinitario.
Dio si è fatto uomo perché l’uomo potesse unirsi alla sua natura divina, perché potesse entrare nella pienezza di questo amore divino, per cui siamo stati fatti, e divenire simili a lui.

lo Spirito ci trasforma nell’immagine

Il Cristo è l’immagine, il volto di Dio, e lo Spirito è il principio della mia continua trasfigurazione nella bellezza di questo volto, del volto del Figlio di Dio. Lo Spirito è un pittore di icone che di luce in luce trasforma il mio volto interiore nell’immagine del Cristo, mi da la sua bellezza.
“Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2Cor 3,17-18). A partire dall’immagine riflessa in noi, lo Spirito opera, fa crescere la nostra somiglianza con Dio. E questo splendore del nostro volto interiore non sarà effimero come la luce che irradiava dal viso di Mosè, ma imperituro: “Se (…) i figli di Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore pure effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?” (2Cor 3,7-8). “Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo” (2Cor 3,11). La mia trasformazione nell’immagine del Signore avverrà man mano che in me matureranno i frutti dello Spirito: “ il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).
Tutto questo ci sembrerebbe idilliaco, irreale, se ci dimenticassimo che per Paolo avviene in una lotta continua. L’immagine della lotta, dell’agonismo, è frequente nelle sue lettere. La preghiera è lotta (cfr Rm 15,30; Col 4,12). Tutta la nostra vita è un combattimento, in cui lottiamo con la spada dello Spirito (cfr Ef 6,10-17; Rm 13,12). La nostra vita è altresì paragonata a una competizione sportiva, in cui dobbiamo lottare allo spasimo per giungere primi ed ottenere il premio (cfr 1Cor 9,24-27; Fil 3,12-14; 2Tm 4,7).
Né d’altronde nella nostra vita mancheranno le sofferenze, che dobbiamo accogliere come partecipazione alla croce del Cristo. La sapienza di Dio che si è misteriosamente manifestata nella stoltezza della croce di Cristo, si manifesta ancora, con apparente follia, nel dolore, nella croce degli uomini. Per partecipare alla gloria del Cristo, dobbiamo veramente partecipare alle sue sofferenze. Però Gesù, anche al culmine della sua passione, anche quando ha gridato “Perché mi hai abbandonato?”, è stato tenuto unito al Padre dallo Spirito, che ha impedito al filo troppo teso di spezzarsi. Cristo ha voluto precipitare nell’abisso della sofferenza perché nessun uomo, neppure il più disperato, potesse dire che Cristo non sa cosa prova lui. Nessuno quindi deve più sentirsi perduto e solo, ma deve vedere aperta innanzi a sé, dallo Spirito, la porta della speranza e dell’amore. E anche in quelli che soffrono è presente il gemito dello Spirito che dal profondo del loro essere si fa preghiera, anche se loro non sanno unire allo Spirito la loro voce, anche se essi, sulla loro croce, si sentono abbandonati da Dio. Dobbiamo prodigarci per lenire quelle sofferenze, e non lasciare solo lo Spirito che geme nei diseredati, nei disperati, negli emarginati che popolano la terra.

Lisa Ellis, Filled by the Holy Spirit.jpglo Spirito ci fa fratelli, ci fa Chiesa

Lo Spirito Santo infatti non è soltanto il principio della nostra identità personale profonda di figli, ma è anche il principio della nostra identità come fratelli, ci fa appartenere come membra diverse ad uno stesso corpo. Perché è lo Spirito di quel Cristo che ha assunto tutta la nostra umanità e fa comunione con noi. “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito” (1Cor 12, 12-13). “Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra” (1Cor 12,27); “per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (Ef 2,18); “un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,4-6).
È il dono dello Spirito, la Pentecoste, che crea la Chiesa. Come in noi avvertiamo l’iceberg nascosto, il magma oscuro, anche nella Chiesa vediamo divisione e discordie. Ma la Pentecoste è più forte di Babele, e la forza di comunione dello Spirito, malgrado le apparenze, è più forte di ogni lacerazione. Le lacerazioni della Chiesa, le sue inadempienze e infedeltà, sono le nostre infedeltà, è il peso della nostra umanità che fa faticare la Chiesa, perché siamo creature umane e portiamo tesori immensi in fragili vasi di creta. “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7).
La Chiesa è cattolica, cioè universale, perché ogni palpito d’amore, ogni seme di santità e di bontà che è nel cuore di ogni uomo è seminato proprio dallo Spirito Santo, che fa la Chiesa. Appartengono quindi invisibilmente alla Chiesa quelli che, pur non sapendolo, appartengono allo Spirito, che agisce nei loro cuori, cuori che cercano di essere puri.
È lo Spirito che opera altresì il mistero della comunione dei santi: la comunione tra noi che siamo ancora in cammino e coloro che già sono nella beatitudine.

lo Spirito è la nostra preghiera

E quanti pregano nella Chiesa, pregano in un solo Spirito: “celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio” (Fil 3,3), “in ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e suppliche nello Spirito” (Ef 6,18). Se preghiamo mossi dallo Spirito di Dio, lo Spirito è colui che ci fa pregare. Non solo: se davvero lo Spirito è l’amore diffuso nei nostri cuori, che ci mette in comunicazione di amore e di preghiera con il Padre, egli è la nostra preghiera. Lo Spirito Santo è la nostra preghiera, è colui che prega in noi. Specialmente quando preghiamo comunitariamente il Padre Nostro, come dovremmo capire che è lo Spirito che prega in noi, è quello Spirito che ci rende figli, costituendo così il fondamento della nostra comunione: lo Spirito prega in noi e ci mette in comunione tra di noi e con il Padre. È lo Spirito che spira, soffia in noi l’amore che ci unisce nel Padre e nel Figlio.
Lo Spirito ci fa pregare ed è la nostra preghiera, perché prega in noi. Lo Spirito deve essere altresì ciò che noi domandiamo nella nostra preghiera, seguendo l’insegnamento di Gesù: “Ebbene io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto (…). Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe? (…) Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Lc 11,9-13).
Dobbiamo imparare da Maria ad accogliere in noi lo Spirito in pienezza di cuore, perché compia in noi cose grandi. E dobbiamo unirci a Lei nella preghiera, perché la potenza dello Spirito si riveli in noi, in una nuova Pentecoste.



Mario Airoldi
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok