Al tempo dei muri

Pubblicato il 29-03-2023

di Lucia Capuzzi

La parola d’ordine è resistere. All’attesa snervante alla frontiera. Ostaggio della battaglia politica tra l’Amministrazione democratica e l’opposizione repubblicana. Decine di migliaia di profughi latinoamericani sono ammassati nelle città a ridosso del confine tra Messico e Stati Uniti nella speranza che questi ultimi deroghino il cosiddetto “Titolo 42”. Si tratta del divieto integrale di entrata e la possibilità espulsioni express dei richiedenti asilo, deciso da Donald Trump al tempo della pandemia e tuttora in vigore. Il 20 dicembre, alla vigilia della scadenza dell’ultima proroga, la Corte suprema ha deciso di prendere tempo a causa delle pressioni di 19 governatori conservatori che temono una nuova ondata di arrivi. Almeno fino a gennaio, dunque, il bando non sarà abolito.

Nel frattempo, alle decine di migliaia di donne e uomini provenienti dal resto del Continente – ai centroamericani si sono aggiunti soprattutto venezuelani e haitiani – non resta che aspettare. E resistere. Fatto sempre più difficile ora che la temperatura notturna sfiora i dieci gradi sotto lo zero. A Ciudad Juárez, i rifugi sono congestionati. Settecento persone, dunque, si sono accampate sotto il ponte lungo il Rio Bravo ma la tendopoli di fortuna è stata sgomberata prima di Natale. Tanti, dunque, hanno deciso di immergersi nell’acqua gelata e attraversare il fiume in modo irregolare per passare nella gemella El Paso. Nella prima metà di dicembre, gli intenti di entrare negli USA sono cresciuti in modo esponenziale, insieme ai prezzi dei “coyotes”, trafficanti di esseri umani specializzati nell’aggirare i controlli. Alcuni giorni se ne contavano fino a 2.500, tanto che alla fine, il 19 dicembre, il governatore Greg Abbott ha schierato la Guardia nazionale per blindare la frontiera, già controllata da 23mila agenti federali. Chi è riuscito a raggiungere El Paso, Texas, prima di quel giorno, però, non ha trovato una situazione migliore. Nella cittadina USA il rischio di essere intercettati è troppo alto per prendere un bus e andare verso altre destinazioni. O anche solo per bussare a una porta di un centro di assistenza.

La vigilia di Natale, Abbott ha intercettato 130 profughi – in gran parte famiglie con bimbi –, li ha caricati sui bus e li ha spediti a Washington, di fronte alla residenza della vicepresidente Kamala Harris. Un segno di protesta contro la politica migratoria della Casa Bianca, proprio come già sperimentato in ottobre. I profughi di El Paso – solo a ottobre, ultimo mese per cui ci sono i dati, se ne contavano 50mila – vivono come ombre. Lo stesso fanno a Brownsville, 1.300 chilometri ad est lungo il corso del Rio Bravo, al confine con la messicana Matamoros. Non lontano, da quest’ultima, a Reynosa, quattromila persone dormono in tendopoli arrangiate.
Il pericolo qui, oltre a gelo e inedia, sono i narcos. Sequestrare i migranti intrappolati per estorcere loro denaro o rivenderli nel fiorente mercato degli organi, del lavoro schiavo o della prostituzione forzata è un business facile per le grandi mafie messicane che controllano il territorio. Nessuno sa quanti fra i profughi sono rapiti, dato che le persone non denunciano. Le organizzazioni umanitarie, però, sono in allarme. Molte cercano di esercitare una vigilanza informale. Gli stessi migranti hanno dato vita a una rete di supervisione informale. Difficile, però, spuntarla sui narcos. Ai profughi nel limbo non resta che cercare di rendersi invisibili.
In attesa che le porte degli Usa, finalmente, riaprano. Anche solo per accogliere le domande di asilo.

Max Ferrero e Renata Busettini
(testi di Lucia Capuzzi)
NP gennaio 2023

 

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