La felicità è la nostra produzione

Pubblicato il 19-04-2017

di sandro

di Sandro Calvani - A metà febbraio ho partecipato al Forum Asia-Pacifico delle imprese per lo sviluppo sostenibile che si è svolto a Dhaka, capitale del Bangladesh. Ci vivono 17 milioni di persone, con una densità di 24mila persone per kmq. Le sfide causate dalla povertà in un Paese con 157 milioni di abitanti sono enormi. Ma il Bangladesh è considerato un miracolo di crescita economica grazie a un tasso di crescita del PIL che nel 2015 ha superato il 7% annuo.

Nell’ingresso della sala che ha ospitato 700 impresari da decine di Paesi dell’Asia un grande cartellone proponeva alcuni punti centrali per la discussione. C’era scritto: “…Alla fine, si tratta sempre di valori. Vogliamo che il mondo che erediteranno i nostri figli sia definito dai valori sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite: la pace, la giustizia, il rispetto, i diritti umani, la tolleranza e la solidarietà. Tutte le religioni più importanti li abbracciano, e tutti ci sforziamo di rifletterli nella nostra vita quotidiana. Molto spesso le minacce a questi valori sono causate più dalla paura che dalla povertà. Il nostro dovere verso i popoli che serviamo è quello di lavorare insieme per passare dalla paura degli uni per gli altri, ad avere fiducia gli uni negli altri. Fiducia nei valori che ci legano e fiducia nelle istituzioni che ci servono e ci proteggono” (prima dichiarazione ufficiale di António Guterres, decimo segretario generale delle Nazioni Unite dal 1 Gennaio 2017).

A pranzo ho incontrato due giovani impresari bengalesi, due fratelli, Rezaul e Ekamul. Mi hanno raccontato che, appena finita l’università, hanno discusso per settimane che tipo di impresa creare. Rezaul voleva mettere in pratica i principi imparati alla business school, il profitto deve essere l’obiettivo dell’impresa. Ekamul invece voleva dedicare la vita ai poveri e al bene comune. Due visioni opposte: per il profitto o per il bene comune? Insieme hanno intuito che, guardando al di là del muro di malintesi che li divideva, si poteva avere successo con una visione mista, usare il profitto per il bene comune. Oggi Rezaul ed Ekamul sono titolari insieme a dieci donne loro amiche di un’impresa sociale che fa servizi di educazione al risparmio e facilita una forma di microcredito chiamata people-e-wallet, cioè una comunità di auto-finanziamento per piccoli progetti di sviluppo, basata su un app per telefoni mobili.

Un rapporto recente del British Council riferisce sullo stato di 149 imprese sociali through-profit che usano il profitto come strumento ma non come obiettivo. Estrapolando da quel campione di innovazioni, il rapporto rivela che in Bangladesh le imprese sociali crescono e cambiano le prospettive di vita di milioni di persone, in modo creativo che massimizza la felicità delle comunità.

Le tabelle sono estratte dal rapporto britishcouncil.org

Sandro Calvani
ORIENT EXPRESS
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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