Ritorno al passato

Pubblicato il 21-02-2017

di Michelangelo Dotta

di Michelangelo Dotta - La facciata di una chiesa allineata alle altre case dell’isolato, una di quelle quasi spoglie, senza segni e simboli, nessuna colonna, nessuna scalinata, nessuna piazza da dominare con un’architettura poderosa; una chiesa che quasi non vedresti se non fosse per quel portoncino scuro socchiuso che non riesce a trattenere un canto gregoriano accompagnato da un organo. Così, incuriosito, entri.

Savona, 8 dicembre ore 18. Sulla melodia non consueta in una messa, domina il profumo dolciastro e speziato dell’incenso, tanto incenso; tra i banchi 26 uomini e 14 donne di cui 8 con il velo a coprire i capelli, all’altare il sacerdote con 4 chierichetti, 3 ragazzi e un adulto corpulento, e un pò impacciato, compassato nella gestione del turibolo e dei suoi pennacchi odorosi che indirizza con precisione.

Quando inizia la celebrazione ti lasci trasportare dai ricordi lontano nel tempo e lentamente, scavando nella memoria, riaffiorano brandelli di una ritualità che ti fa tornare bambino; posi lo sguardo sul messale appoggiato al banco: “sanctissimum missae sacrificium”. La santa messa in latino, secondo la norma straordinaria del rito romano. Ora ti è tutto più chiaro, come in una macchina del tempo quella lingua sepolta e dimenticata ricomincia a parlarti, a farsi voce di un passato che è tornato inaspettatamente a trovarti, chiudi gli occhi ed eccoti là, nella penombra della chiesa seduto con i pantaloncini corti a fianco del nonno che sonnecchia, mentre le litanie e le parole latine scandiscono un tempo che ti sembra eterno.

Un nuovo canto irrompe prepotente e spezza l’incantesimo, alzi lo sguardo, ritorni tra i banchi da adulto mentre il vicino si genuflette più volte battendosi il petto. C’è poca gente ma grande partecipazione, una compiaciuta partecipazione; il sacerdote, rigorosamente rivolto all’altare, volta le spalle ai fedeli e sibila sottovoce, senza microfono, la liturgia; i quattro chierichetti lo intrappolano in una coreografia rituale che mescola grandi candele, turiboli oscillanti e croci dorate alle lunghe tuniche rosse sovrastate da una veste di pizzo bianco immacolato.

Siamo alla consacrazione e nella chiesa cala un silenzio irreale, tutti sono in ginocchio, a volto chino, mentre i campanelli scandiscono tempi e ritmi del sacrificio; le fiammelle delle lunghe candele accese sullo sfondo dell’altare oscillano appena, lo scricchiolio nitido dell’ostia spezzata dalle mani del sacerdote ti ricorda la fragilità umana.

La distanza tra il divino e il terreno è sancita ad ogni gesto, la balaustra segna un confine che pare invalicabile; allineati in ginocchio attendiamo il nostro turno, il piattino dorato sotto il mento, la formula latina, l’ostia che si posa sulla lingua, esattamente come da bambino, quando a digiuno da almeno un’ora, attendevo si sciogliesse in bocca facendo attenzione a non masticare il corpo di Cristo. Ite, missa est... Deo gratias.

Michelangelo Dotta
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Rubrica di NUOVO PROGETTO

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