Fatti di speranza

Pubblicato il 18-07-2016

di Ernesto Olivero

Articolo di Ernesto Olivero su PORTAPERTA supplemento di Avvenire
IL PRIMO SORRISO SCOPERTO A 14 ANNI

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Fatti di speranza

Il primo sorriso scoperto a 14 anni

Qualche settimana fa, ho ricevuto una lettera bellissima. Samira ha 14 anni, è musulmana ed è uno dei volti dell’Arsenale della Piazza, il pezzo di Arsenale frequentato ogni giorno da oltre 200 bambini e ragazzi di 20 etnie diverse. Samira mi ha parlato così della loro festa di fine anno. “A un esterno può sembrare una festa come tante, ma non lo è. Qui i bambini sorridono insieme, un bimbo nero abbraccia uno bianco perché se la sente di farlo. Qui non esistono persone “diverse”, ma ognuno è contento di essere se stesso. A noi non piace un mondo in cui non possiamo giocare con chi vogliamo a causa delle discriminazioni che per primi riconosciamo essere un problema. Noi stiamo bene insieme e questo nessuno potrà cambiarlo. Né le parole, né le persone”.

Lettere così mi commuovono, mi aiutano a scommettere ogni giorno sulla speranza, mi convincono nel profondo che nel mondo c’è ancora una riserva incredibile di bontà, di possibilità di costruire, di fare, di cambiare. Questa speranza mi aiuta a vedere il buio che mi circonda con uno sguardo di misericordia, con la cocciutaggine di chi non si arrende e cerca, magari disperatamente, un oltre. Perché è possibile sconfiggere l’odio, ma non a parole! Se lo vogliamo, tutto può essere alla nostra portata. L’esperienza di Samira e dei bambini come lei mi ricorda che l’uomo e la donna hanno sì bisogno di cure, di casa, di lavoro, ma soprattutto di scoprire il senso della vita. È un compito che riguarda tutti, in ogni stagione della vita, credenti e non credenti, uomini e donne di buona volontà. Ognuno, con la propria cultura, religione, sensibilità è chiamato a fare un patto contro l’odio, contro il male.

Nella nostra storia, abbiamo capito che esistono due chiavi importantissime, due strade che portano diritte alle misericordia, due parole: amicizia e dolore. Non parlo di buoni sentimenti, di ideali che stanno sulle nuvole, ma di fatti, di vita concretissima.
L’amicizia è ogni giorno il terreno di incontro per Samira e i suoi amici. Sono ragazzi che frequentano l’Arsenale della Pace di Torino per studiare, divertirsi, giocare insieme, crescere. In un quartiere difficile, la loro amicizia ha abbattuto le differenze, la diffidenza ed è diventata contagiosa, coinvolgendo prima di tutto le famiglie. Un’amicizia che ha portato subito frutto, un salto deciso nel campo del rispetto. Solo questa amicizia sincera è la chiave per cancellare una volta per tutte parole come “nemico” e “infedele”. E questo vale non solo per dei ragazzi, ma per ognuno di noi. Il mio migliore amico, il vescovo brasiliano dom Luciano Mendes de Almeida, mi raccontava sempre di come alla base di tante solitudini, sofferenze, povertà, ci fosse proprio un vuoto di amicizia. L’amicizia che consola, che si fa presente, che non giudica, che accompagna, che custodisce l’amico come una madre. L’amicizia diventa così una responsabilità alla nostra portata, un impegno che ha qualcosa di sacro.

Un'altra parola che lega incontro e misericordia è dolore. Lo abbiamo visto in Giordania nel nostro Arsenale dell’Incontro, una casa che accoglie decine di bambini disabili, cristiani e musulmani. In una terra difficile, dove la gente fa ancora i conti con le ferite della storia, abbiamo capito che l’umanità e la sofferenza dei piccoli sono il banco di prova per coltivare amore, rispetto, aiuto reciproco. Per far incontrare le persone, al di là del loro credo e delle loro convinzioni. È difficile, per nulla scontato, ma anche qui qualcosa è germogliato. In Giordania, abbiamo capito che non ha senso confrontare i dolori, a maggior ragione quelli causati dalla storia. Se entriamo in questo campo, ognuno avrà una ragione, una rivendicazione, una briciola di verità. No, i dolori non si confrontano. Si condividono! Se impariamo a farlo e a costruire partendo da questo, non vedremo più nell’altro un musulmano, un ebreo, un ateo, un nemico, ma solo umanità che ci interpella, ci guarda negli occhi. Vedremo un volto, una storia, magari una lacrima che chiede di essere asciugata, una storia terribile che vuole essere ascoltata, una vita difficile che può ancora aprirsi alla speranza.

Solo facendo così possiamo costruire davvero un mondo di pace, abitato dalla misericordia. I piccoli possono fare cose grandi, ma solo se avranno il coraggio di dire i sì e i no che contano nella vita. Samira e i suoi amici ci stanno provando. Hanno trovato una casa che li accoglie, braccia aperte e ideali credibili, perché non rimangono sulle nuvole ma si impastano con fatti e scelte di speranza. L’amicizia e la condivisione del dolore hanno fatto il resto. Ci sono riusciti loro, possiamo provarci tutti…

Ernesto Olivero

 

 

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