La certezza della speranza

Pubblicato il 30-04-2016

di Rosanna Tabasso

di Rosanna Tabasso - Per accogliere i bisogni dei poveri, per non perdere il desiderio di Dio.

In tempi complicati come quelli che stiamo vivendo, il Signore continua a chiedere a noi del Sermig e a tutti i cristiani di perseverare ed essere segno di speranza.
Ma la speranza è impalpabile, non si vede, non si definisce facilmente. Per riconoscerla bisogna vestirla di segni, di parole, di gesti, di fatti che scaldino il cuore alla gente: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture?” (Lc 24,32) si dicono tra loro i discepoli di Emmaus riconoscendo Gesù che cammina al loro fianco. Gesù fa proprio questo, risveglia nei discepoli sfiduciati la speranza con gesti, parole e segni. Così è per noi.

Giovanni Paolo II incontra la Fraternità della Speranza nel 1991

Per “tirar fuori la speranza assopita nel cuore delle persone” – come ci aveva confermato S. Giovanni Paolo II all'inizio del suo pontificato incontrando la nostra Fraternità – ci vogliono segni che siano visibili e riconoscibili: una persona affabile, più persone insieme che si stimano a vicenda, una casa sempre aperta. L’Arsenale della Pace è la casa dove il Signore ci ha messi in “vetrina” – così ci aveva detto Padre Mario Nascimbeni, il padre carmelitano che ci seguiva negli anni 70-80. In vetrina perché la gente, vedendoci, possa riconoscere la speranza dentro di sé. Ci siamo subito resi conto che la nostra casa aperta 24 ore su 24 risvegliava la speranza, così come entrarci e trovare persone disponibili o frequentare una fraternità accogliente.
È nelle nostre case, negli Arsenali, che la gente affaticata e oppressa del nostro tempo deve poter entrare, come in un’arca, grazie alla quale affrontare il diluvio che oggi come nella pagina biblica vuole coprire la terra.

I nostri Arsenali sono case grandi non perché le abbiamo volute così, ma perché sono cresciute con la speranza che ci abita. Davvero la speranza è stata ed è l’unica certezza! I nostri Arsenali cercano di essere, ogni giorno, delle lenti focali per aiutare a riconoscere la speranza di Dio nei cuori. La nostra Fraternità non è di certo fatta di persone migliori delle altre; abbiamo difetti, problemi umani come tutti, ma crediamo profondamente che la speranza si manifesti proprio nel buio della nostra umanità ferita, bisognosa di essere illuminata da Dio. La speranza non vuole i perfetti, ci cerca così come siamo.
Penso a Maria Teresa, una delle nostre consacrate, di cui il 23 marzo scorso abbiamo ricordato i 10 anni dalla morte. A 63 anni disse semplicemente sì e partì in missione per la Giordania dove morì improvvisamente il giorno dopo il suo arrivo. Pochi mesi prima di partire scrisse ad Ernesto: “Se guardassi alle mie forze, alla mia capacità, alla mia ignoranza il no sarebbe logico, ma se Dio vuole e tu vuoi sono pronta a partire anche subito”.

Maria Teresa è per noi una maestra di speranza perché si è fidata e ha accettato con umiltà che lo sguardo di Dio e della Fraternità vedesse oltre ciò lei vedeva. Speranza è essere semplicemente disponibili e docili.
A volte la gente, le istituzioni ci chiedono di aiutare giovani con gravi problemi, persone senza casa, senza lavoro, famiglie, malati… Ci dicono “noi non abbiamo soluzioni, non abbiamo risorse”. Umanamente anche noi dovremmo dire così, ma spesso davanti a una persona, davanti ad una storia di dolore sentiamo riaccendersi dentro una fiammella discreta e un pensiero insistente: e se fosse un appuntamento con Dio? Penso alle volte in cui hanno bussato alla nostra porta problemi che non sapevamo risolvere e che dopo il giusto discernimento hanno trovato casa nei nostri Arsenali. Se ci fossimo fermati alle nostre possibilità avremmo dovuto chiudere molte cose e invece la speranza ci canta dentro, ci dice che i giovani hanno bisogno, che i poveri sono senza casa, che c’è un mondo che cammina nel deserto in cerca di quell'Acqua viva di cui noi siamo poveri testimoni che non possono tacere.

È la storia di Abramo che si ripete nella nostra (Gen 17,3-9). Partiamo come lui dalla terra delle nostre certezze, senza sapere bene dove siamo diretti, partiamo come Maria Teresa per obbedienza, per fedeltà. Intraprendiamo la strada della speranza affrontando come Abramo tentazioni e prove, ma come lui camminiamo verso la terra promessa. San Paolo dice di Abramo “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza” (Rom 4,18) e così cerchiamo di essere saldi noi nel nostro procedere quotidiano.

Papa Francesco commentando la virtù della speranza dice: “Quando non c’è speranza umana, c’è quella virtù che ti porta avanti, umile, semplice, ma ti dà una gioia, delle volte una grande gioia, delle volte soltanto la pace, ma la sicurezza che quella speranza non delude.  La speranza non delude... La speranza, quella virtù umile, quella virtù che scorre sotto l’acqua della vita, ma che ci sostiene per non annegarci nelle tante difficoltà, per non perdere quel desiderio di trovare Dio, di trovare quel volto meraviglioso che tutti vedremo un giorno: la speranza”.



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