Incontro al Sermig con il Presidente della Repubblica

Pubblicato il 19-05-2015

di Redazione Sermig

In occasione della "1° Giornata del Perdono", istituita dal Sermig a cent'anni dalla 1° Guerra Mondiale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella visita l'Arsenale della Pace e dialoga con i giovani del Sermig.


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LA GIORNATA DEL PERDONO
La "Campana del Perdono" è il simbolo della giornata, dell’incontro dei giovani del Sermig con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, una campana di bronzo donata dalla diocesi dell’Aquila, nel segno di san Celestino V, un grande papa, che lanciò al mondo un messaggio di riconciliazione nella consapevolezza che “a fin di bene esiste solo il bene”.

La “Campana del Perdono” risuona negli spazi dell’ex arsenale militare di Torino, trasformato dal Sermig in Arsenale della Pace. Una riconversione che testimonia come sia possibile rispondere al male con il bene e con scelte di vita concrete. È questo il messaggio della prima “Giornata del Perdono”, celebrata a cento anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale nel luogo dove furono costruite le armi usate in quell’occasione dall’esercito italiano. 

Un pomeriggio di testimonianze, di silenzio e di riflessione per dare voce alle scelte di impegno dei giovani e dire che “senza perdono non c’è pace e senza pace non c’è futuro”. “È questa la chiave, - dice il fondatore del Sermig Ernesto Olivero - in un mondo segnato ancora da mille e mille guerre, da 100mila morti di fame ogni giorno, da milioni di donne, uomini e bambini in fuga dalla loro terra, da mille e mille ingiustizie”. 
I giovani hanno dialogato proprio su questi temi, rivolgendo al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella quattro domande sul cammino di riconciliazione personale, sull’immigrazione, sull’etica nella vita pubblica e sul ruolo dei giovani. 

Al termine, anche il Presidente della Repubblica ha voluto condividere un impegno facendo risuonare la Campana del Perdono a nome delle istituzioni e della classe politica. “Questa campana – ha detto - risuona perché il potere sia sempre e solo un’occasione di servizio per costruire insieme, ognuno nel proprio ruolo, il bene comune”.

Insieme al Presidente, hanno ripetuto questo gesto un bambino, un giovane, il fondatore del Sermig Ernesto Olivero e l’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia. Ecco le loro intenzioni: 
(Bambino) Questa campana risuona per la vita di ogni bambino. Perché tutti possano curarsi, andare a scuola, vivere in pace. 

(Giovane) Questa campana risuona per i giovani. Perché possano dire i sì e i no che contano. Dire no alla droga, al niente, a ogni dipendenza. E sì a una vita spesa per grandi ideali. 

(Ernesto Olivero) Questa campana risuona per gli adulti. Perché si impegnino a dare l’esempio, a costruire un mondo senza armi e senza ingiustizie e aiutino i giovani a dare il meglio di sé.

(Arcivescovo) Questa campana risuona perché chi crede e chi non crede sappia vivere in armonia. Perché nessuno venga più chiamato infedele e ucciso nel nome di Dio. 

(Presidente) Questa campana risuona perché il potere sia sempre e solo un’occasione di servizio per costruire insieme, ognuno nel proprio ruolo, il bene comune.

Se ne parla anche nel sito del Quirinale.

 




Il "Benvenuto, Presidente!" di Ernesto Olivero

Caro Presidente,
è bello accoglierla qui tra noi. Non parlo solo a nome mio, ma attraverso di me vorrei dare voce alle migliaia e migliaia di persone che sono passate da questa casa, che hanno aiutato e che sono state aiutate, che hanno creduto a un ideale.

Quest'oggi le vorrei presentare una storia italiana, una storia pulita che non ha avuto paura di incontrare anche le difficoltà, le calunnie, la cattiveria. Tanti anni fa, in un tempo difficile segnato da poca speranza e da tanta contestazione, eravamo un piccolo gruppo di giovani: inesperti, con pochi mezzi, ma con un sogno. Il sogno di sconfiggere la fame attraverso opere di giustizia. Sapevamo di essere piccoli, ma eravamo convinti che con la nostra determinazione avremmo potuto costruire una cattedrale, una piramide per i vivi, non per i morti. Serviva però un metodo: trasparenza, purezza, ingenuità. Le chiavi per dire con la vita che tutto è possibile, che è possibile scegliere il bene, non arrendersi al male, cambiare il mondo, partendo da se stessi. È nata così la nostra avventura, la storia splendida di un arsenale di guerra trasformato in Arsenale di Pace, di una casa di morte diventata casa di vita. Il 2 agosto del 1983, quando siamo entrati per la prima volta in questo luogo, servivano 100 e 100 miliardi di lire per rimettere tutto a posto, servivano doti eccezionali che non avevamo. Ma il nostro sogno, il nostro ideale, ha fatto breccia nel cuore di tante persone. Ci abbiamo creduto, abbiamo messo in gioco noi stessi e così tutto è avvenuto.

Oggi l'Arsenale non è più un rudere, le sue braccia sono arrivate in 154 paesi del mondo, in Brasile e Giordania sono nati altri due arsenali. E chissà quanti ne nasceranno nella storia. Un pezzo del nostro sogno si è realizzato, ma tante cose nel mondo e in Italia continuano a non andare nel verso giusto. Penso alla corruzione, al potere vissuto non sempre come un servizio, alla criminalità che ha affamato, a gente senza scrupoli che si è spinta ad avvelenare la propria terra con il traffico dei rifiuti, a intere generazioni di giovani che continuano a consumare droga, a non capire che libera o non libera, leggera o pesante, la droga è sbagliata. Penso a chi continua ad accettare le disuguaglianze e la disoccupazione, ad alimentare il mercato infame delle armi e il traffico di esseri umani innocenti. Penso a chi continua a non commuoversi di fronte a centinaia di migliaia di persone perseguitate, uccise per il proprio credo, costrette a fuggire dal proprio Paese e sempre più spesso a morire durante il viaggio. In un mondo così è difficile sperare. Difficilissimo, ma il mondo è ancora nelle nostre mani.

Lo vogliamo dire davanti a lei e con lei, davanti a un uomo che ha conosciuto il dolore come noi, lo ha sperimentato sulla propria pelle, senza però farsi bloccare. Lei, caro Presidente, nella sua vita ha saputo ascoltare la sua coscienza e rispondere con coerenza. Per questo vorremmo condividere con lei il nostro sogno di riconciliazione per l'Italia e il mondo. La riconciliazione tra Stati e Nazioni, tra popoli. Ma anche tra giovani e adulti, tra le generazioni. Per farlo, dobbiamo chiedere perdono, invocare una riconciliazione che entri nella nostra carne, nella nostra vita. Chiedere perdono per quando non siamo stati all'altezza, per quando non abbiamo dato l'esempio, per quando la politica, la religione, l'economia hanno tradito se stesse. Dirlo senza giudizio, senza puntare il dito contro gli altri, ma su se stessi, per dire: “Sono io il primo a voler cambiare, a mettermi in gioco, a credere in una nuova primavera”.

È questo lo spirito della prima giornata del Perdono che celebriamo con lei all'Arsenale, una giornata che sarà ricordata ogni anno il 14 maggio. La sua presenza in mezzo a noi è come un sigillo che ci apre alla commozione. Siamo commossi a pensare che lei abbia desiderato essere qui, sull'esempio di tanti suoi predecessori: i presidenti Pertini, Cossiga, Scalfaro, Napolitano. Ma anche di figure che hanno incrociato la nostra strada, amandoci e riconoscendoci anche quando non eravamo capaci di farlo: dom Luciano Mendes de Almeida, frère Roger, Madre Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II, Benigno Zaccagnini (e ringrazio Carlo, suo figlio, di essere qui), Norberto Bobbio, Giorgio La Pira. E con questi grandi anche tantissime persone non note e tantissimi giovani credenti, non credenti, di ogni religione.

Oggi voglio ricordare in modo particolare le mamme della “Terra dei fuochi” e padre Maurizio Patriciello di Caivano perché hanno bisogno di sperare che la terra che ha tolto loro salute e figli possa rivivere. Siamo con loro con la nostra amicizia.

Caro Presidente, benvenuto! L'accoglie una casa che crede prima di tutto nell'uomo, in una società pulita che vive senza trucchi e inganni. La sua presenza mi emoziona. Per me è una carezza di Dio.

Grazie Presidente!

 


Intervento del Presidente Mattarella all'Arsenale della Pace


Vi ringrazio per la vostra accoglienza. Vi ringrazio per le parole che avete pronunciato; e per i gesti che abbiamo compiuto insieme. Adesso anch'io, come già altri presidenti della Repubblica prima di me, posso sentirmi parte della vostra comunità. E posso condividere le parole che Sandro Pertini - trentuno anni fa - affidò a Ernesto Olivero: nei "volti sereni" di questi giovani, scrisse, "nei loro canti gioiosi ho visto l'Italia dell'avvenire".

Oggi mi avete fatto davvero un grande dono. Abbiamo vissuto insieme momenti di serenità e di riflessione, che ricorderò. Abbiamo bisogno di tenere sempre vigile la nostra coscienza per affrontare le responsabilità. Per questo è stato importante confrontarsi sulle ragioni della vita, parlare di grandi ideali, proporsi insieme di raggiungerli.

Ernesto Olivero, nel suo intervento iniziale, ha ricordato alcune grandi personalità che sono passate dall'Arsenale della Pace. Ne conoscevo bene una: Benigno Zaccagnini. Per me è stato importante seguire la sua vita. Come una lezione. Nel suo ultimo discorso pubblico, a Cesena, pochi giorni prima di morire, fece questo considerazione: "La politica è cercare di capire le grandi cose. Per dare ad esse un senso. Per intervenire possibilmente affinché si svolgano secondo un fine, nella consapevolezza che tutto è strumento (anche il partito è strumento) e lo strumento si nobilita in relazione al fine che si vuole raggiungere".

La politica smarrisce il suo senso se non è orientata a grandi obiettivi per l'umanità, se non è orientata alla giustizia, alla pace, alla lotta contro le esclusioni e contro le diseguaglianze. La politica diventa poca cosa se non è sospinta dalla speranza di un mondo sempre migliore. Anzi, dal desiderio di realizzarlo. E di consegnarlo a chi verrà dopo, a chi è giovane, a chi deve ancora nascere. La corruzione, il potere fine a se stesso, sono conseguenza di una caduta della politica. Di un suo impoverimento. I giovani si allontanano e perdono fiducia perché la politica, spesso, si inaridisce. Perde il legame con i suoi fini. Oppure perde il coraggio di indicarli chiaramente.

La politica scompare se si chiude solo nel tempo presente. Se perde la capacità di guardare al futuro. Naturalmente, deve esser chiaro, la politica è anche concretezza. Senza la capacità di affrontare i problemi di oggi, senza il proposito di ridurre i danni, di sanare le ferite sociali, di andare incontro ai bisogni materiali, la politica non sarebbe capita e le istituzioni finirebbero nel discredito dei cittadini. Il presente è una prova di umiltà per la politica, perché la costringe a tradurre, faticosamente, i principi in scelte concrete. Ma si deve fare ciò che è possibile oggi, tenendo, comunque, alta la testa sul domani e coltivando sin d'ora il progetto di un futuro migliore.

Per questo c'è bisogno di voi giovani. Non tiratevi indietro. E soprattutto non rinunciate ai vostri ideali di umanità e di giustizia. Non ascoltate le sirene che cantano il denaro come misura unica del successo personale. Su quella strada vi è il rischio di essere disposti persino a tollerare i traffici illegali di rifiuti, di armi, persino di esseri umani. Il vero successo è costruire un mondo di pace e di giustizia.

La vostra prova di concretezza, mentre discutete e lottate per un mondo più giusto, sta nel partire da voi stessi. Ciò che chiediamo agli altri, ciò che pretendiamo dalla comunità, dobbiamo essere capaci di realizzarlo nella nostra vita, a partire dalle persone che ci sono vicine.

Il perdono è una chiave di umanità. Non è un sentimento da uomini deboli. Al contrario, è una prova di grande forza interiore. Perdonare vuol dire donare totalmente. E' il dono, la gratuità che genera società, che contrasta la violenza, che consente all'umanità di progredire. L'odio moltiplica l'odio. Il dono, invece, apre alla vita. E il perdono lo fa con una forza molto più grande. Ricordate il brano evangelico: "Se amate quelli che vi amano che merito avete?".

La campana è risuonata per farci diventare operatori di pace. La pace che nasce dalle opere di solidarietà e di giustizia. La pace che nasce dalla coerenza, dalla legalità, dal rispetto dell'altro, dall'amicizia, dal far proprie le speranze e le esigenze degli altri. La pace che nasce dalla fatica di dire no quando è necessario. E di dire sì quando è impegnativo. Il perdono non cancella la memoria. Né la ricerca della verità. Le ferite lasciano delle tracce sulla nostra carne. La violenza non va dimenticata, anche perché ricordare deve servire a non ripetere più.

E tuttavia la riconciliazione - che muove da coscienze mature - consente di costruire di nuovo dove c'erano le macerie. Partire da noi stessi, dalla nostra coscienza, dall'amico che ha bisogno e ci sta accanto. E, al tempo stesso, guardare in avanti, compiere uno sforzo per osservare l'orizzonte più lontano. Dobbiamo fare entrambe queste cose. Così aumenterà la nostra voglia di cambiare la società.

Saremo tutti migliori se il vostro entusiasmo contagerà gli altri. Datevi da fare, perché ai giovani spetta il futuro. Se i giovani non irrompono nelle abitudini degli adulti, e qualche volta scombinano i loro piani, difficilmente le cose andranno meglio.
Voi avete trasformato un Arsenale di armi in un Arsenale della Pace. Ecco, questa impresa così difficile, faticosa, complessa rappresenta bene ciò che volevo dirvi. Tenere insieme il lavoro concreto, minuzioso di solidarietà con una semina che riguarda invece il mondo intero.

Oggi il mondo è lontano dal sentiero di Isaia, quello che conduce a trasformare le spade in aratri e le lance in falci. Ma non dobbiamo scoraggiarci. Dobbiamo essere capaci di aiutare e accogliere chi fugge dalle guerre, dalla fame, dalle persecuzioni. Ma dobbiamo anche contrastare gli sfruttatori, i violenti, le strutture che producono guerra.

Dobbiamo cooperare per uno sviluppo diverso e sostenibile, perché bisogna aiutare i Paesi dai quali oggi fuggono i migranti a dare lavoro e prospettive ai loro cittadini. Solo cambiando le relazioni politiche ed economiche tra gli Stati e tra i continenti si potranno evitare esodi sempre più grandi e i drammi spaventosi cui spesso assistiamo.

Le guerre vanno estirpate dall'umanità. A questo obiettivo non possiamo rinunciare mai. Anche se non lo vedrò pienamente realizzato, devo fare in modo che mio figlio possa perseguirlo. E vederlo più vicino. La pace - come avete detto - presuppone la giustizia. Non c'è pace nello sfruttamento e nella schiavitù.

Oggi si rischiano nuove schiavitù, alcune delle quali sono invisibili ma non per questo meno gravi. Una di queste schiavitù è la droga: non dubitavo che ne foste consapevoli. La coscienza deve restare libera. La libertà inizia da lì. L'omologazione è una prigione, anche quando ha le sembianze seducenti della moda del momento.

Siate liberi e non abbiate paure di dire qualcosa di scomodo, fuori dal coro, o apparentemente impossibile, quando gridate e cantate per la fratellanza tra gli uomini, per la pace. Il mondo siete voi. Come qui all'Arsenale. In definitiva, nessuno deve sentirsi ospite a casa sua.


Foto: Alessandro Vargiu
Foto: Sermig, Maurizio Turinetto, Giovanni De Franceschi, Lorenzo Nacheli

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