Salvare, salvarsi

Pubblicato il 14-05-2024

di Fabrizio Floris

Nel 1999 con alcuni amici abbiamo aperto un centro di accoglienza per persone senza dimora. Era un luogo dove si provava a praticare l’ospitalità: cercava di basarsi sui problemi e sui bisogni delle persone. Le regole non erano date e priori, l’accoglienza non era standardizzata. È stata un’esperienza importante a tratti anche ingenua e naif. Ricordo che tra i vari discorsi gli operatori più esperti spiegavano che «una persona non può salvarne un’altra».

Intendevano dire che prima di tutto non si può salvare qualcuno che non vuole salvarsi (non lo salvi tu, si salva lui); secondo, devi sapere che la forza distruttiva che mette in atto è come un buco nero che ha una gigantesca forza di gravità capace di inghiottire anche la luce, un abisso che ti tira dentro in un modo più forte di quello che tu puoi mettere in atto per tirarlo fuori.

Come quando, a esempio, una persona sta affogando e tira fuori una forza capace di far affogare anche chi vuole salvarla. Se vuoi fare qualcosa, devi aspettare che perda energia, svenga e solo dopo puoi metterla in salvo e salvare anche te stesso. Non è che la disperazione è più forte del bene, è che anche il bene deve essere disperato, concentrare tutta la sua forza in un solo punto, dare tutto. Ma, in genere, questo non avviene, non leghiamo tutto il nostro destino e la nostra destinazione a una sola persona mentre chi è in difficoltà mette in atto tutto sé stesso e ci tira giù. Era quindi necessario stare a una giusta distanza dai problemi delle persone per non rischiare il burnout, perché il loro fallimento non diventasse il tuo fallimento. È vero, ma il cristiano è solo un operatore sociale?

Sì, a volte anche i cristiani impegnati nelle tante periferie esistenziali hanno la sindrome del salvatore: si buttano nelle situazioni più disperate pensando di cambiarle o persino di redimerle. Ma contraddicono le loro stessa fede quando non si rendono conto che: primo è Cristo che salva e, secondo, Cristo opera la sua salvezza morendo in croce. Mettiamoci su questo limite che è l’altro, affacciamoci sull’abisso e proviamo a chiederci come vedremmo questo nostro agire tra 10 anni, cosa sarà definitivo e cosa riterremo effimero. Sporgiamoci sulla vertigine del buio e proviamo a vedere se in questa oscurità c’è una Fonte di luce.


Fabrizio Floris
NP aprile 2024

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